Quattro anni fa, sei nato tu, in una notte di pioggia forte in un cielo di Francia. E sono nata anche io. Abissi si sono svelati, e un universo è venuto fuori, raccontandomi di contrade inesplorate, di umani che sbagliano, di un amore troppo forte per essere perfetto. La tua vita è la mia nostalgia di Parigi, è il mio aggrapparmi con le unghie e con i denti all’infanzia, siamo io e il tuo papà che ti regaliamo un pezzo di noi, sono le fiabe della pioggia, sono i brividi sulle braccia quando mettiamo i piedi nell’acqua il primo giorno d’estate.
Abbiamo attraversato insieme il paese dei mostri selvaggi, la foresta di Riccioli d’Oro, un oceano, le strade di una capitale europea, i corridoi di un aeroporto, le corsie di un ospedale, le notti più irte e le giornate uggiose, sempre mano nella mano. Tu, primo amore e compagno di giochi, mi hai insegnato come fare le cose una alla volta, ad avere sempre fiducia nel giorno che comincia, a rimboccarmi le maniche anche quando sono stanca, a sentirmi all’altezza di accompagnarti.
Tu, che il mondo ha pensato di morire, non lo sai. La mascherina che nasconde il sorriso di un nonno impaurito non la vedi nemmeno. Salti, corri, gridi e quando ti addormenti, tiriamo un sospiro di sollievo, e la casa perde un po’ della sua luce. Quest’anno hai imparato a crescere da solo, a chiudere gli occhi e trattenere il sonno, senza ninne nanne e senza favole della buonanotte, ad allacciare le scarpe e tagliare le polpette. Hai visto un altro bimbo attraversare la porta di casa e l’hai accolto come il tuo tesoro più prezioso.
Oggi che spegni quattro candeline, l’augurio della tua mamma è quello ruvido e sincero dei biglietti di compleanno di una volta, di quando ci si augurava la salute, prima di tutto, la pienezza della vita, l’emozione forte di una scoperta, lo stupore delle prime volte da custodire gelosamente nel cuore, “coprirsi di foglie, prendere fiato sulla sabbia, sollevarsi sulle ali”.
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
Buon compleanno, piccolo grande Émile.
Facciamo che cerchiamo di lasciarti un mondo un po’ più buono là fuori.
Soundtrack: Ernest et Célestine, Thomas Fersen
Poesia: Un appunto, Wisława Szymborska (traduzione Pietro Marchesani)
Illustrazione: Nel paese dei mostri selvaggi, Maurice Sendak