La promessa dell’alba

So anche che esistono amori reciproci, ma io non vado in cerca del lusso.

Qualcuno da amare è un genere di prima necessità.

Ho conosciuto Romain Gary in un appartamento parigino del 20simo arrondissement, circa sei anni fa, un incontro inatteso tra gli scaffali di una libreria. Una storia sgualcita, ambientata a Belleville, letta in pochi giorni nel tratto di superficie della linea 6 della metropolitana, da Nation a Glacière. Un colpo di fulmine letterario, che mi ha trascinata nelle biblioteche, alla ricerca di altre parole, altri racconti, su questo scrittore che non avevo mai sentito nominare. E che poi avrei scelto come protagonista di una tesi di laurea. Ma questa è un’altra storia.

Romain Gary, pseudonimo di Roman Kacew, scrittore di origine lituana classe 1914, arriva in Francia ancora bambino, sbarca a Nizza, insieme alla madre, una semplice modista, e qui le promette di realizzare il suo sogno: diventare qualcuno, sbarazzarsi dell’accento dell’Est, dei ricordi dei pogrom polacchi, delle persecuzioni antisemite, della famiglia dispersa in quel limbo che era l’Europa orientale alla vigilia della seconda guerra mondiale. Si costruisce un’esistenza, a sua immagine, traccia un cammino. Si arruola tra le file dei resistenti e accede di diritto alla carriera diplomatica: Gary è stato militare e console, e uno dei più importanti autori di lingua francese. Ma anche regista, amante di innumerevoli compagne d’una notte, drammaturgo. Un estro impossibile da contenere in una sola personalità. Shatan Bogat, Fosco Sinibaldi, sono solo alcuni degli pseudonimi utilizzati da Gary, che ha riservato al suo alter ego Émile Ajar, una delle sue creazioni più riuscite, i suoi romanzi migliori.

Se l’austero Gary scriveva di elefanti, caccia all’avorio, inquinamento, protezione della natura, educazione europea, il travagliato e romantico Émile raccontava di bimbi perduti, mamme adoranti, ombrelli a cui ci si affeziona, cagnolini trovati per caso e un caro amico pitone, l’unico al quale ci si possa rivolgere quando la grigia e fredda Parigi è avara di abbracci. Due scrittori, una sola persona. Una magistrale pantomima letteraria, che ha gabbato anche i grandi critici dell’intellighenzia francese che, inconsapevoli di trovarsi di fronte allo stesso camaleontico autore, gli attribuirono due volte il prestigioso Premio Goncourt.

Ho imparato col tempo che l’abisso non ha fondo e che ognuno di noi può battere dei record di profondità senza esaurire mai le possibilità di quella interessante istituzione.

È tuttavia con il nome di Romain Gary che scrive La Promessa dell’Alba, una lettera d’amore alla madre che l’aveva condotto in Francia, che aveva sognato per lui un futuro radioso, tra i grandi della letteratura. Questo libro è come la pagella che non si vede l’ora di portare a casa alla fine dell’anno, il racconto di una vita di successi, che finalmente Gary offre alla madre, in ricompensa delle notti bianche trascorse a sognare un’esistenza degna per suo figlio, confezionando cappelli per le ricche dame della Francia del Sud.

Tanto vale dire subito, per chiarire questo racconto, che oggi sono console generale di Francia, membro della Liberazione, ufficiale della Legion d’Onore, e che se non sono diventato né Ibsen né D’Annunzio non è che non abbia tentato.

bs

Una sorta di autobiografia, che Gary scrive in California, davanti alla spiaggia di Big Sur, ormai adulto, orgoglioso di poter scrivere alla madre di aver vinto il dio della stupidità, il dio delle verità assolute, il dio della meschinità, quelli che lei gli aveva descritto come i nemici più infami. Racconta una vita intera, dalla bimba per cui inghiottì un pezzo di scarpa alle lunghe notti di guerra. E d’improvviso, Gary spiega il perché di quel titolo, il senso di quella promessa, sciogliendosi in una dichiarazione d’amore e di rimpianto per un sentimento che non ritroverà mai più.

Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto. Ci vengono delle cattive abitudini. Si crede che ci sia dovuto. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare. Ci si fa affidamento. Si guarda, si spera, si aspetta. Con l’amore materno la vita ci fa all’alba una promessa che non manterrà mai. In seguito si è costretti a mangiare gli avanzi fino alla fine. […] Abbiamo fatto, alla prima luce dell’alba, uno studio approfondito dell’amore e ci siamo documentati troppo bene. Dovunque andremo, porteremo con noi il veleno dei confronti; e passiamo il tempo aspettando ciò che abbiamo già avuto.

Oggi, con la giornata contratta in sfuggenti minuti liberi e diluita in lunghi pomeriggi di giochi (tanti) e sonno (poco), la promessa di Romain Gary ha per me un altro significato. Con l’arrivo di Émile, cinque mesi fa, la vita ha mantenuto la sua promessa, sono tornata anche io sui banchi di scuola e ogni giorno osservo da vicino il privilegio dei bambini, quello di fare tutto per la prima volta, di non conoscere la noia e il disincanto. Ogni giorno mi dedico a questo “studio approfondito dell’amore”, come non l’avevo mai conosciuto, tra tentativi e intuizioni, sbagli e incertezze, improvvisando strategie, in un salto nel buio quotidiano, una strana specie di alba perenne dove avanzo a tentoni, senza carte geografiche o indicazioni.

Amare è un’avventura senza mappa né bussola dove solo la prudenza porta fuori strada.

Illustrazione: © Matt Rockefeller

Citazioni: Romain Gary (o Émile Ajar)

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2 pensieri su “La promessa dell’alba

    • Valeria ha detto:

      Ciao, mio figlio si chiama Émile perché è un nome che ci è sempre piaciuto, ma è vero anche che i precedenti, da Émile Ajar a Emil Cioran, sono più che illustri. A presto e grazie per il tuo messaggio!

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