Ricordo con fortissima intensità, e anche un pizzico di nostalgia, quel momento in cui le poche certezze dell’esistenza hanno vacillato. Avevo perso completamente il centro, andato in frantumi, un giorno freddo di gennaio, lontanissimo da casa, qualsiasi cosa volesse dire allora questa parola. Non me ne rendevo certamente conto all’epoca, ma avevo il mondo nelle mie mani e, non avendo più nulla da perdere, avrei potuto prendere qualsiasi strada e diventare qualsiasi cosa.
Lasciai Parigi alla velocità della luce e trovai riparo in quel di Padova, che divenne per pochi mesi la mia base, prima di trasferirmi a Milano. Di quel periodo, ho impresso tutto sulla pelle, anche i dettagli minuscoli, le ombre della mia bicicletta in giro per la città, il teatro la sera, i pomeriggi in libreria, il traghetto per Burano, le passeggiate sotto i portici con la pioggia, i caffè nei bar, il treno per Milano ogni due settimane. E poi una figura, passata nella mia vita come una meteora, che è rimasta nella mia memoria. “Vai da lei, anche solo per parlare un po’”, mi aveva consigliato un amico, al quale confidavo di passare ogni fine settimana in una città del Nord Italia diversa e che sperava di portare un po’ di conforto a quella nevrastenia geografica di cui ero vittima. E io bussai alla porta di Giovanna, in un appartamento poco fuori dal centro di Padova, dove mi recavo in bici al pomeriggio, un giorno di inizio primavera.
Capelli corti, occhi dolcissimi, maglioni morbidi a collo alto, una macchina piena di libri. Giovanna mi ha accolto nella sua macchina con cui perlustravamo la città, usando verso di me la gentilezza, l’autenticità e la verità che solo i perfetti sconosciuti sanno offrire. Ho subito e accolto tante volte il fascino delle persone più grandi, come compagni di strada. Ho avuto amiche donne e prossimità molto intense con persone che spesso avevano venti o trent’anni di più, alle quali mi avvicinavo come ci si avvicina a una sorgente, per sapere sempre di più, vivere, fare esperienze. Col tempo ho imparato che quanto ricevuto aveva un prezzo altissimo, che ha a che fare con parole che si chiamano libertà e crescita. E forse Giovanna è stata la sola a darmi tantissimo, senza chiedere nulla in cambio.
Giovanna aveva fatto di tutto nella vita, in particolare tutti i mestieri che avevano a che fare con i libri e con le parole. Dalla rilegatrice all’insegnante, dal lavoro in casa editrice alle lezioni private. E di cose in comune, nonostante i trentacinque anni che ci dividevano, ne avevamo tantissime, in particolare l’amore per la letteratura comparata, quel dialogo inconscio e inconsapevole tra i testi che, lontani tra le epoche e lo spazio, continuano a parlarsi e instancabilmente a dialogare. La voglia di parlare di personaggi, storie, fino a perdere contezza del tempo. Il sogno di tornare all’università, io avendola lasciata da pochissimo, lei da almeno tre decenni.
Inspiegabilmente, e senza un motivo che non fosse quello dell’avermi preso sotto la sua ala, Giovanna mi condusse ovunque nella sua macchina. A mostrarmi aree di Padova che non conoscevo, mi indirizzò alla conoscenza della severissima direttrice di “Ristretti orizzonti”, il giornale del carcere Due Palazzi di Padova, dove sono anche riuscita a entrare una mattina che non dimenticherò mai, che ancora profuma di panettoni e chiacchiere.
Ma soprattutto Giovanna mi portò a scuola, quella vera, con i banchi acciaccati e le poche risorse, quella forse tenuta in piedi solo da persone come lei. Mi portò a fare alfabetizzazione italiana a una decina di stranieri appena arrivati. “Sono tutti diversi, guardali”, mi diceva, “c’è il ragazzo cinese che ha finito tutti gli esercizi del libro ma ci scommetto che non ha capito granché, poi ci sono le tre ragazze eritree, loro non hanno mai avuto contatto con la lingua scritta, con loro parlare di grammatica è come metafisica”. Il mondo intero, nelle sue parole e davanti al suo banco. Perché non c’era cattedra, in classe con Giovanna, ma solo banchi messi in circolo, foderine dei libri che si toccano, mani e teste che si aiutano.
Vorrei dirti, Giovanna, che ho realizzato un paio di sogni, ma che soprattutto ho unito i puntini e sento, oggi, di trovarmi esattamente dove dovrei essere. Anzi che quei puntini me li sono creati da sola e, quando non mi piacevano, ne ho cambiato la posizione, dirigendomi esattamente dove volevo andare. E che vorrei tanto rivederti, per dirti grazie.
Soundtrack: The Drums – Days