Qualche tempo fa, per gioco, un’amica interrogò i tarocchi per me. Uscì l’arcano del sole. Ricordo che vedere quei due bambini biondi sulla carta, nonostante ancora non ci fossero nella mia vita, mi emozionò molto. Chi mi conosce bene, ovvero almeno da una ventina d’anni, sa che da sempre ho desiderato dei bambini, sin dai tempi del liceo, anche prima. Volevo viaggiare e avere figli, lavorare ed essere una mamma presente, inseguire le mie ambizioni e leggere libri di favole. Volevo tutto, e lo voglio ancora. Ma, dietro i due bambini, nel mazzo originale dei tarocchi di Marsiglia, sull’arcano del sole, c’è anche un muro in costruzione. “Questo è quello che ti manca di più e che otterrai con fatica”, disse la mia amica, “una casa“.
All’epoca, ero reduce dagli ultimi due traslochi, infilati, uno dietro l’altro, in poco più di dodici mesi. Ma la casa ancora non c’era. Abitavamo in un appartamento di fortuna, che stava cadendo a pezzi sulle nostre teste, eravamo insofferenti, increduli e, da lì a poco, la pandemia ci avrebbe chiuso là dentro per un bel po’.
Ma non solo. C’era, dentro, quel tarlo che rosicava l’animo, che continuava a chiedere: “ma stai facendo bene? sei nel posto giusto? e se poi te ne penti?”. Avevamo appena lasciato Parigi, era un po’ normale, eravamo perduti. Tutti sembravano saperne più di noi, ed eravamo in balia di improvvidi consigli, insonnia, incertezze. Ci tenevamo per mano, ma la strada è stata tutta in salita. Guardando indietro nel tempo, ai circa quindici traslochi che ho fatto negli ultimi dieci anni, ho realizzato che ho chiesto alle mie tante case delle missioni impossibili. “Ora che abiterò là, sarò una persona diversa”, pensavo ogni volta, piena di ottimismo. E così sono fuggita da un appartamento all’altro inseguendo la versione migliore di me stessa, senza trovarla mai.
“Sarò più ordinata, leggerò almeno due libri al mese, mi ritaglierò un angolo solo per lo yoga, una tisana la sera e laverò il bagno tutti i giorni”, ogni trasloco si portava con sé la sua scia di buoni propositi, puntualmente abbandonati sullo zerbino. E insieme alle promesse di disciplina e diligenza, c’erano poi le speranze più segrete, quelle di non rivedere più certi fantasmi, di non incorrere più nelle stesse trappole, di non tirare più fuori quello che cercavo di seppellire in ogni modo. Quella persona che andavo cercando, che ho rincorso da un continente all’altro, non l’ho mai trovata. Allo specchio, c’ero sempre e solo io.
Se ci penso, mi rivedo come un insetto rinchiuso in un bicchiere, sotto una campana di vetro, a sbattere la testa sulle pareti e a chiedermi dove avevo sbagliato. A pensare, ogni volta, di aver letto male l’indirizzo. A ogni mazzo di chiavi, credevo, come si crede stupidamente quando si cambia un calendario, di avere in tasca una nuova vita, migliore, dove non sarei stata più esitante, dove non avrei vacillato, dove avrei controllato tutto alla perfezione. Così non è mai stato.
Oggi che torno a riempire le valigie, a fare cartoni, scatole e buste, a selezionare abiti e a imballare libri, mi sono ben guardata dal fare liste di buone abitudini, fioretti della domenica, promesse da marinaio, tenute strette al momento di varcare la soglia di casa. Alla vigilia del mio ultimo e definitivo trasloco, mi sono detta che alla mia ultima e definitiva casa non chiederò nulla. Solo di essere una casa. Non un castello delle meraviglie, non uno specchio magico, non un rifugio dei peccatori. Solo una casa. Le chiederò non di risolvere i miei problemi, né di guarirmi dalle malattie senza nome ché, quelle, non sanno leggere l’indirizzo. Ma di essere solo una casa. Solida, luminosa, circondata di verde e d’azzurro, che ci tenga al caldo e che accolga tutta la nostra famiglia.
Il resto verrà da solo, quando i tempi saranno maturi, quando la semina avrà dato frutto, e la quiete accesa saprà trovare la strada di casa. La nostra.
Soundtrack: Lucio Dalla, La casa in riva al mare