“Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima volta è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno «schizzo» è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è tutto uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.
«Einmal ist keinmal». Tomáš ripete tra sé il proverbio tedesco. Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere una sola vita, è come se non vivesse affatto.” (da L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera)
Nello studio di Eugène Delacroix, a Parigi, furono ritrovati più di seimila schizzi. Il più tragico dei pittori francesi dipingeva senza sosta, disegnava ogni giorno, fregiandosi del tocco rapido e veloce della sua matita.
“Se non sei capace di fare uno schizzo di un uomo che cade dalla finestra prima che dal quinto piano arrivi a terra, allora non sarai mai capace di produrre lavori monumentali“. Si dice fosse tra le sue sentenze preferite.
Oggi i disegni più belli, gli schizzi più intensi di Delacroix, direttamente dal Louvre di Parigi, sono a New York per l’esposizione allestita presso la Morgan Library sugli artisti francesi e la Rivoluzione.
“Faccio, disfaccio, ricomincio e non raggiungo mai il risultato che cerco”, scrive in una lettera del 21 febbraio 1821 indirizzata a Charles-Raymond Soulier.
Per ogni tela commissionata, Delacroix scriveva incessantemente, tratteggiava profili, curve, movimenti, e li trascriveva nelle lettere che spediva ai suoi amici pittori. Riversava il tormento dell’incompiutezza in un foglio bianco, sfogava il perenne senso di insoddisfazione che lo perseguitava, fino alla realizzazione finale, inevitabilmente superba, di ogni sua opera.
Stuck in a moment. Molti degli schizzi di Delacroix non sono mai più stati ripresi. Intrappolati in una sfumatura del carboncino, semplici testimoni di genesi controverse, restano immobili su fogli ormai ingialliti, racchiusi in un movimento sviluppatosi altrove. Primo passo a cui non è mai seguito un secondo.
Einmal ist keinmal. Ciò che succede una sola volta non è mai accaduto. Lo diceva Kundera. Se questo è vero, gli schizzi del pittore che usava colori dolenti sono scaramucce, come diceva Alexandre Dumas a fine Ottocento parlando di Delacroix. Bagatelle di poco conto, di cui la storia potrebbe fare a meno.
“Guai a chi in un bel quadro vede soltanto un’idea precisa e guai al quadro che a un uomo dotato d’immaginazione non fa veder nulla al di là del finito. Il pregio del quadro sta nell’indefinibile: è proprio ciò che sfugge alla precisione”, scriveva Delacroix nel suo diario.
Questi giorni a New York assomigliano a uno “schizzo di nulla”, un “abbozzo senza quadro”. Scappano a ogni pianificazione. A ogni tentativo isterico di dare un appuntamento alle meraviglie della città, nell’idea vana di non mancarne neanche una. Procedono senza la preoccupazione di prendere sempre e necessariamente la decisione migliore o seguire l’itinerario consigliato, alla ricerca costante del bello nell’imprevisto.
Io debutto ogni mattina. Vivo New York come se fosse la mia città e, allo stesso tempo, cerco di abituarmi alla temporaneità. Mi calo nella dimensione di uno schizzo.
“In pittura l’esecuzione deve sembrar sempre improvvisata, e in ciò sta la differenza capitale da quella dell’attor comico. L’esecuzione del pittore sarà bella soltanto se egli si sarà lasciato andare un po’, se ricercherà nel corso dell’elaborazione“. Prendo esempio da Delacroix e improvviso a ogni risveglio. Ho la matita sempre in mano e imbastisco leggerezze più o meno sostenibili. E cerco di trattenere il carosello di facce che mi volteggia intorno.
Se tutto quello che ho fatto solo una volta non fosse vero e reale, secondo Kundera potrei non aver mai visto i ballerini di tango del West Village sulla riva dell’Hudson, teatro malinconico della domenica pomeriggio, la notte stellata di Van Gogh o quella tagliata dalle punte dei grattacieli che disegnano la High Line. Non ho mai sfiorato l’oceano a Coney Island e rubato le conchiglie giganti alla marea. Non ho mai cercato, e trovato, il duello tra gli angeli di Delacroix nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi, un giorno freddissimo di novembre.
“Soltanto l’esperienza può dare, anche all’ingegno più grande, la fiducia d’aver fatto tutto quello che poteva esser fatto. Solo i pazzi e gli impotenti si tormentano per l’impossibile“, (dal diario di Delacroix).
Forse New York necessita un piano. Una strategia. Una seconda volta da programmare. Forse mi sto sbagliando. Ma, in fondo, questo è il mio schizzo, la mia brutta copia. Rimarrà una bozza, incapace per natura di colmare un’inquietudine. Ma nel migliore dei casi, sarà sublime come un disegno dimenticato di Delacroix. Come una scaramuccia. Un tormento da narratore contemporaneo imbevuto di ansie metropolitane, che non accenna a svanire, anche a costo di andare incontro a ogni rischio di incoerenza.
Images © Eugène Delacroix
Soundtrack: The Tempest, third movement, Beethoven