Non erano i monti di Trento e non era neanche una mitraglia. Andrea s’era perso, senza una lettera, senza la firma d’oro del re. Forse proprio per questo si era perso Andrea e non sapeva tornare. Nessuno gli aveva detto da che parte andare. Di incertezza si può anche morire.
Il bosco non era solo quello degli occhi di un contadino del regno, era quello fitto che era cresciuto intorno. Erano le finestre oscurate. Era la paura di uscire. Erano le langhe, con la luna sempre piena, la cenere dei falò sempre nell’aria, l’odore di erba bruciata, i tempi in cui bastava una ventata di tigli per sentirsi accesi, la verità sbattuta in faccia da un paesino adagiato sui colli, di quelli dove per sopravvivere non bisogna mai allontanarsi, mai mettere un piede oltre la svolta dello stradone, ché poi si perde la strada e non si ritorna più.
O forse s’era perso in una stanza vuota, quelle di città, che si affittano per un paio di mesi e poi restano come dei gusci vuoti al momento della partenza, nessun segno, nessun ricordo, o quasi, stanze che non esistono se nessuno le ha viste, disponibili per chiunque, nulla di personale. Quelle dove si finisce quasi per caso, quelle che ci si è immaginati per una vita intera e poi, una volta arrivati, viene da chiedersi se sia tutto lì. Dove non prende neanche bene il telefono e la notte si passa sulla scala del condominio ad aspettare notizie, perché forse il foglio del re arriva prima o poi ad avvisare che qualcuno è morto sulla bandiera.
Andrea se l’era anche chiesto, se ne valeva la pena, di fare tanta strada, “di traversare il mondo per vedere chiunque”, di crederci così tanto, di simulare tanto entusiasmo per poi non saper più distinguere un amore da un altro, per saltare giù dal palco, per prendere l’ennesimo treno, per tornare ancora una volta sulle stesse strade, sentirsi dire le stesse parole. “Valeva la pena esser venuto? Dove potevo ancora andare? Buttarmi dal molo? Ma dove andare? Ero arrivato in capo al mondo, sull’ultima costa, e ne avevo abbastanza”.
Ritornare e trovare amici che si ricordano di cose che aveva fatto, parole che aveva detto, storie che aveva vissuto, aneddoti che una volta era solito raccontare e lui che non si ricorda più niente, perché i filtri sono sbagliati, la memoria al contrario, l’abitudine a fare finta di niente e a eseguire gli ordini, è pur sempre un soldato del regno e non ha nemmeno il profilo francese, e “magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d’erbe secche e che la gente ricominci”.
Perché io Andrea me lo immagino e forse a volte me lo sogno anche la notte, mentre raccoglieva violette. Sono quelle mattine che mi sveglio e mi ricordo di aver parlato con un secchio, mi avvertiva che il pozzo era profondo. E io ultimamente ho le vertigini, ma le profondità non mi fanno paura. Mi ci butto, non guardo nemmeno cosa c’è dentro. Mi basta che sia più profondo di me.
Soundtrack: Andrea, Fabrizio De Andrè
Image: © Witchoria
Quotes: La luna e i falò, Cesare Pavese
Cara V., ieri sera, mentre mi lavavo i denti, ho pensato a te, al tuo vento cattivo e alle parole tue che mi mancavano. Poi, nello stesso istante, sul mio telefono compare il messaggio di un tuo nuovo post, i viaggi che mi ricordano Pavese e la mia laurea triennale, Torino, le colline. E poi sì, la musica che unisce parole a vita vissuta. Io mi chiedo di te, seguo i tuoi articoli, le tue scorribande intellettuali ed esistenziali, la ricerca di un punto fisso, che poi non si trova mai. E sento una strana sintonia, forse quell’alchimia che avviene tra sconosciuti, che poi infondo si conoscono, senza essersi mai visti, senza aver mai sentito l’uno la voce dell’altro, ma avendo trovato una comunione d’intenti e di pensieri. Sai che dico? Quest’estate, se non sarai nel tuo mare, io prenderò un treno Bergamo-Milano. Poca cosa. E se vorrai ci berremo un thé freddo insieme, all’ombra di qualche albero buono, in un angolo di Milano che parla di te, dove vorrai tu. A presto, ti abbraccio. I.
Cara Ilaria,
è vero che ultimamente scrivo poco. Ci sono delle cose che ancora non ho capito come fare per metterle sotto forma di parole, restano qui in casa, a un metro dal soffitto, come dei fantasmi. Anche quando esco, viaggio, mi distraggo, so che mi aspettano lì e che prima o poi dovrò decidere cosa farne. Mi farebbe tanto piacere incontrarti. Io sarò a Milano fino a fine giugno, poi dopo sarò giù nel Salento. Ce la facciamo o siamo fuori tempo?
Sai dove scrivermi in ogni caso.
grazie per il tuo commento e per essere vicina, anche da lontano
Valeria
Che canzone ! Che nostalgia d”un tempo onesto ☺.
Sì, sembra quasi che, insieme al tempo, siano scomparsi anche il bosco, le violette, il pozzo, i falò, i tigli. Grazie per il commento e alla prossima.
V