Un amore a fumetti

“Vivono, quasi.

Un po’ trasparenti, questo sì,

per di più non conoscono più la speranza

che è il più malvagio dei supplizi

non hanno il dolore

non hanno ospedali, funerali, cimiteri, tombe.

Gente fortunata, no?”

copertina

“Capita nella vita di fare cose che piacciono senza riserve, cose che vengono su dai visceri, Poema a fumetti è per me una di queste”.

Il romanzo a fumetti di Dino Buzzati è stato irreperibile per decenni nelle librerie. E, offuscato dalla malinconia del suo narrare, è rimasto nascosto anche il lato fumettista di uno scrittore che troppo spesso viene ricordato solo come l’autore de Il deserto dei Tartari.

Scritto e illustrato dallo stesso Buzzati nel 1968, Poema a fumetti esce per i tipi di Mondadori nel 1969 e viene premiato come “Miglior fumetto dell’anno” da Paese Sera. E pensare che l’autore avrebbe voluto consegnarlo direttamente ai posteri, avendo pregato la moglie Almerina di affidarlo alla casa editrice solo dopo la sua morte. Pioniere del romanzo per immagini, in anticipo sui tempi, Buzzati si rivela specchio della sua epoca, esplicitamente contaminato dalle invenzioni della Pop-Art, che aveva conosciuto durante i suoi due viaggi a New York, dalle suggestioni letterarie degli anni Sessanta, mescolando nei tratti geometrici delle sue architetture e sulle curve delle sue donne tutte le sue passioni, dal surrealismo alla metafisica.

buzzati

All’epoca in cui passare dal romanzo alla graphic novel non era ancora una scelta alla moda, Buzzati lascia a bocca aperta il salotto intellettuale italiano, tratteggiando un’irriverente versione del mito di Orfeo ed Euridice, ambientato in una Milano onirica e fumosa.

Valentina scattava le sue prime fotografie, i primi numeri di Linus comparivano nei chioschi, qualcuno cominciava a sospettare della sinuosa coppia Diabolik-Eva Kant, ma di certo nessuno avrebbe immaginato che Buzzati avesse nel cassetto una fantasia a fumetti, intrisa di surreale visionarietà, dallo spirito un po’ dark, inquieto, sognante.

Buzzati si rivela immaginifico architetto del surreale, azzarda una libera riscrittura del mito intrecciandola alle più tipiche angosce contemporanee, mettendo in scena un Ade postmoderno: Orfi, annoiato rampollo milanese, idolo canoro delle figlie della Milano bene degli anni Sessanta, scende negli inferi della città, alla ricerca della sua Eura. Qui, le anime dell’inferno di Buzzati rimpiangono la “perduta angoscia” che era la “bellezza, la luce, il sale della vita”, ma sono intrappolate nella “povera pace eterna” di chi è condannato a un’esistenza grigia e senza fine. “Rimpianto è la malattia del posto”. Ricordare la peggiore condanna. Le stelle hanno luce fissa. Il cielo non palpita più. La notte non cela più misteri.

“Dico: ma qui che cosa vi manca? Quasi niente. Da qualche tempo hanno messo perfino la tv a colori. Però manca il più importante: la libertà di morire.”

“La cara morte”, questo doveva essere il titolo originale del poema a fumetti di Buzzati, che alla fine assume le sembianze di un vero e proprio inno alla vita, quella vera, fatta di tremori e angosce quotidiane, quei dubbi e quelle stesse paure che fanno battere il cuore.

milano-MostraFumetto

“Oh la perduta angoscia, gli incubi, l’angustia, i dolori sociali perduti. Tutti sani, qui, uguali, appagati. Cara infelicità!”.

“Non è spaventoso tutto questo, la vita il lavoro i soldi il successo l’amore?”

Poche parole questa volta. Per alcune sensazioni quelle giuste ancora non le ho trovate.

cicci

Dino Buzzati e il suo bulldog Cicci

2 pensieri su “Un amore a fumetti

  1. Ilaria Moretti ha detto:

    Cara ragazza dal vento cattivo,
    scrivi di Buzzati, e allora anche io mi ci ritrovo e penso a vecchi amori che se ne sono andati. A quando facevo il dottorato e mi pareva d’avere una strada nella vita. E poi, come Dino c’insegna, quella strada anche se la si trova, poi diviene una prigione, con ogni giorno uguale all’altro e prima o poi la morte ci coglie, misteriosa e sola, e anche di noi si perde ogni traccia. Grazie per le tue parole che ritornano quì, negli ultimi giorni del duemilaquattordici. E non so se Dino la verità ce l’avesse nella tasca, ma io spero che il prossimo, il numero quindici, ci riveli qualcosa in più, ci dia gesti e parole che ancora non abbiamo conosciuto. Io spero in un poco d’indulgenza e in una traccia di serenità. Buon anno, dolce V., fra poco e per quando sarà.
    I.

    • loscontroquotidiano ha detto:

      Cara I,
      lieta che il mio vento cattivo porti sempre con sé le tue parole.
      Quest’anno spero si dimentichi in fretta, tutti gli sbagli, gli errori di calcolo, le sorprese sgradite. E per il 2015, io vorrei solo una di quelle cose che, come diceva Buzzati, “piacciono senza riserve, cose che vengono su dai visceri”. Di questi tempi, è già abbastanza.
      Buon anno anche a te e alla prossima.
      V.

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