In nome della madre

Sa i miei pensieri. È un maschio e mi rimprovera. Occupa tutto il mio spazio, non solo quello del grembo. Sta nei miei pensieri, nel mio respiro, odora il mondo attraverso il mio naso. Sta in tutte le fibre del mio corpo. Quando uscirà mi svuoterà, mi lascerà vuota come un guscio di noce. Vorrei che non nascesse mai.

“Una donna con Covid19 dovrebbe essere sostenuta ad allattare in maniera sicura, a praticare il contatto pelle-a-pelle con il proprio neonato e a tenerlo in stanza con lei”. Sono le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’OMS e in Italia si conoscono già da marzo. “In alcuni ospedali pugliesi, purtroppo, succede tutt’altro. Donne sole nelle stanze, che dopo un cesareo non riescono ad alzarsi per prendere il vassoio del cibo; padri che hanno rivisto i figli dopo giorni; bambini separati dalle mamme perché positive al Covid”. A parlare è Denise Montinaro, presidente dell’associazione Rinascere al Naturale, attiva dal 2012 per garantire percorsi nascita rispettosi in tutta la regione Puglia. “Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, le partorienti hanno vissuto l’incertezza di non sapere come sarebbe andata la propria esperienza di parto in ospedale, e alcune delle testimonianze che ci sono arrivate parlano di gravi violazioni di diritti”. Le indicazioni dell’Istituto Superiore della Sanità sono state recepite dalla Regione Puglia. Porta la data del 20 luglio, la circolare regionale che richiamava gli ospedali pugliesi al rispetto di tali raccomandazioni, dopo le numerose segnalazioni pervenute. La presenza di una persona di fiducia durante il travaglio e il parto e la possibilità di tenere il bambino con sé per le mamme positive sono procedure adottate nelle regioni più colpite dalla crisi sanitaria la scorsa primavera. Perché non è avvenuto in Puglia?

In nessuna circostanza, è opportuno separare la mamma dal neonato. Solo in caso di condizioni critiche della mamma o per insorgenza di patologia neonatale gravissima”, spiega Raffaele Montinaro, direttore del reparto Pediatria presso l’ospedale di Galatina. “Il contatto pelle a pelle nelle prime due ore, come consigliato dal Ministero della Salute, non avviene quasi mai e temo che questi impedimenti siano frutto di un problema più culturale che strutturale”, replica Antonio Belpiede, ginecologo, responsabile del Comitato Percorso Nascita Regionale. Una mancanza che, tuttavia, sembra precedere l’emergenza Covid. “Ci sono posti dove esistono ancora i nidi, dove non è consentito che la mamma tenga il bambino con sé. Possiamo fare tutte le linee guida che vogliamo, ma chi controlla?”, dichiara Nicola Laforgia, direttore del reparto di Neonatologia presso il Policlinico di Bari.

“Quello che succede nei percorsi nascita oggi è come rammendare stracci rotti”, racconta Valentina Pironti, presidente dell’Ordine delle Ostetriche di Lecce, “è il risultato di una politica abituata a dare poco valore ai processi di salvaguardia della salute. Bisognava investire sul potenziamento territoriale e sulla continuità dell’assistenza di prossimità per le mamme, ma non è stato mai fatto”. In materia esiste un riferimento normativo: le Linee di indirizzo per la definizione e l’organizzazione dell’assistenza da parte delle ostetriche alle gravidanze a basso rischio ostetrico, il cosiddetto modello BRO, emanato dal Ministero della Salute nel 2017. “La Regione Puglia non ha mai recepito questo protocollo, che prevede la conduzione delle gravidanze non patologiche da parte delle ostetriche, il potenziamento della figura di ostetrica di comunità e l’adozione del modello monoprofessionale”. Ovvero, sostituire tutte le infermiere del reparto Ostetricia e Ginecologia con ostetriche, “questo permetterebbe alle mamme di avere un’assistenza più adeguata e liberare tantissimi infermieri, ora necessari in altri reparti”. Misure che non sembrano purtroppo di prossima adozione. 

Esigiamo il diritto per la partoriente, positiva o negativa, di avere una persona di fiducia, scegliere la posizione, assistenza di qualità, contatto pelle a pelle, clampaggio tardivo del cordone, sostegno e avvio dell’allattamento”, continua Denise Montinaro. A giugno, quando in Italia le misure di restrizione cominciavano ad allentarsi ovunque, tranne che nelle maternità, Rinascere al Naturale ha accolto l’iniziativa di un gruppo di mamme di inviare una lettera alle direzioni dell’Asl e degli ospedali di Lecce, per richiedere quali sono le procedure dei punti nascita in emergenza. Una lettera rimasta senza risposta. L’associazione attualmente raccoglie le firme per inviare una terza lettera ufficiale alle Asl di Puglia perché rendano note le procedure ospedaliere di tutti i punti nascita. “La situazione è grave sull’intero territorio nazionale. Su 500 punti nascita in Italia, solo 15 hanno il riconoscimento di ospedale amico per il bambino conferito dall’Unicef. Nessuno nel centro sud Italia”, dichiara Michela Cericco, presidente della Goccia Magica, associazione di supporto all’allattamento, operante nei Castelli Romani. “I decisori comunali e regionali hanno un ruolo: è loro la possibilità e il dovere di vigilare. Molti di noi sono genitori, tutti siamo stati figli. Abbiamo il dovere di riprendere in mano i diritti della nascita”. 

Più del giorno ti stupirà la notte. E’ un grande grembo stracarico di luci. Nelle sere d’estate qualcuna si stacca e viene vicino, fischiando. In mezzo a loro passa una via bianca, un siero di latte, quando lo vedrai vorrai succhiarlo. Pensa che io sono una di quelle luci e intorno a me c’è un ammasso di altre. Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle: di tutte loro, solo io la tua. A guardarle fanno spalancare gli occhi e allargare il respiro

Quattro donne su dieci dichiarano d’aver subito pratiche lesive della propria integrità fisica e della propria dignità; il 21% delle partorienti riporta esperienza di violenza ostetrica”, sono i tristi numeri dell’indagine Doxa-OVOItalia comunicati da Laura Corvaglia, psicoterapeuta pugliese.  “Durante la gravidanza e il parto, la donna è in un periodo di vulnerabilità: sente di perdere il controllo sulla propria vita e su quella del bambino. Sapere di poter contare su una persona di fiducia è fondamentale per una nascita rispettata e sicura”. Un diritto negato a molte partorienti negli ospedali della provincia di Lecce. Anche prima dell’emergenza, l’accompagnamento dei papà era spesso vietata o consentita solo nella fase espulsiva. Ma durante la crisi, le cose sono peggiorate, negando anche il contatto tra mamma e neonato, in nome del principio di precauzione. Sono tantissime le testimonianze raccolte dall’associazione Rinascere al Naturale, in tutta la regione Puglia. “Ho partorito il 29 agosto: per 24 ore mi hanno tenuta lontana da mio figlio, il mio cuore si stava sgretolando dal dolore”. O ancora: “tampone negativo fatto il giorno prima: sono stata costretta a indossare la mascherina durante tutto il travaglio e il parto. Perché, se fino al giorno prima entravo e uscivo dalla maternità per i tracciati?”, donne isolate, e lasciate sole. “Hanno impedito al mio compagno di entrare per portarmi quello di cui avevo bisogno. C’era solo un distributore e, non avendo monetine con me, non ho potuto bere né mangiare”. Partorienti quasi simultanee, in Puglia lasciate sole e in Piemonte in compagnia dei mariti. E, durante i momenti più intensi del ricovero, travaglio, parto e immediato post-parto, anche private dell’assistenza: “L’ostetrica alla quale chiedevo il cesareo dopo due giorni di induzione e contrazioni fortissime, senza dilatazione alcuna, mi diceva: “devi soffrire come abbiamo sofferto tutte”. In reparto invece, la maleducazione assoluta. Suonavo il campanello in cerca di aiuto e mi è stato gridato dal corridoio in dialetto: “ma quando vai a casa come fai?”. Racconta un’altra mamma: “Dopo il cesareo ero stremata dall’intervento e non avere assistenza almeno dal marito significa non mangiare. Lasciano i vassoi sui tavoli e vanno via. Se chiedi assistenza, ti rispondono che arrivano fra poco e non viene mai nessuno. Il bimbo te lo portano dopo 12 ore dalla nascita, senza aiutarti”.

Sono in tante ad aver preso coscienza solo dopo della grave violazione di diritti subita: “in ospedale la mamma è raramente considerata una risorsa, una protagonista del parto, sempre più spesso è solo un problema da gestire”, dichiara Cericco de La Goccia Magica. “Così, anche le mamme non hanno coscienza del proprio corpo, della propria fisiologia, di quello che spetta loro”. Anche il sostegno della mamma nell’allattare è stato trascurato. “Allattamento mai partito, con una puericultrice che, alla richiesta di aiuto, mi rispose “tu hai partorito, tu sei mamma, io nemmeno lo sono, come potrei aiutarti”. “Laddove diritti civili importanti erano stati conquistati a fatica e concessi solo per adeguamento politico, l’emergenza pandemia ha offerto l’occasione per riprendersi, con la scusa della sicurezza, ogni concessione passando sopra i diritti civili”, ha riportato Antonella Sagone, psicologa impegnata nella formazione all’allattamento. “Non tutte le testimonianze sono negative”, conclude Denise Montinaro di Rinascere al Naturale, “ma è proprio questo il punto: l’assistenza di qualità deve essere garantita sempre e non deve dipendere dal personale di turno”. “Le donne hanno sopportato il carico maggiore della pandemia e spero siano in grado di rivendicare i propri diritti”, ha dichiarato Michele Grandolfo, dirigente dell’Istituto Superiore della Sanità. “Non garantire il sostegno di una persona di fiducia o separare il bambino dalla mamma è gravissimo. O è azione consapevole contro le donne e le persone che nascono o è ignoranza della fisiologia della nascita. In entrambi i casi, è riprovevole”.

Le citazioni sono tratte dal libro In nome della madre, di Erri de Luca.

L’immagine di copertina è di Witchoria.

L’illustrazione è di Pia’s Collages.

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