È un venerdì mattina come tanti altri ai piedi della Basilica del Sacro Cuore. Scalpiccio ininterrotto, cascate di selfie, ilarità generale per questo sole inatteso, svendite di Tour Eiffel in miniatura, basi musicali in formato midi che accompagnano il suonatore di turno in sottofondo. Sono seduta al lato destro della scalinata, gli occhi chiusi sotto la luce, ad assaporare la libertà di essere lì senza fare nulla. Un venerdì mattina come tanti altri, senza la frenesia del turista da week-end, senza la sufficienza del locale navigato e senza l’obbligo di essere da qualche parte dietro una scrivania.
Con la sua vista sulla città, il profilo elegante della Basilica alle spalle e le meraviglie di un suonatore d’arpa, la collina di Montmartre sembra un miracolo alla portata di tutti, con una semplice corsa sulla funicolare. Almeno fino al tramonto. Sono tornata alla Basilica a sera inoltrata, nella speranza di respirare la stessa atmosfera ma lo scenario era completamente cambiato.
A mezzanotte, l’odore acre da bagno pubblico invade le narici sin dall’ingresso alla funicolare. Musica improbabile dagli i-phone, cori di sputi, pozze giallognole da evitare. Fischi e battutacce delle orde di cafoncelli orbitanti intorno ad Anvers m’inseguono sino all’inizio delle scale. Comincio a salire e già ho voglia di andarmene. Gli ultimi gradini sono i più ardui. Un branco di ragazzotti in giubbino di jeans cerca di accecarmi con un laser verde fosforescente, stordendomi con un “ça va?” che puzza di alcool sparato nelle orecchie. Io, intanto, procedo a testa bassa, e non per una strana forma di timore, che sarebbe anche giustificato, ma per scansare i tanti vetri e fondi di bottiglia disseminati per la divina scalinata. Intanto, sghignazzate di turisti nederlandesi si levano dai vari punti delle scale, slogan avvinazzati di giovinette in minigonna, l’ennesimo infrangersi di una bottiglia di birra.
Place du Tertre è avvolta da una strana foschia. Parigi è in piena allerta inquinamento. Il cielo è senza nuvole, ma coperto, quasi come se fosse una beffa a questa insolita primavera, arrivata in anticipo. Ma non credo sia lo smog ad assediare il quadrato più celebre della città. La piazza sembra un avamposto di un villaggio fantasma. Echi di pianoforti dai ristoranti vicini, un lontano chiacchiericcio di fondo, il “s’il vous plait” dell’ultima ritrattista notturna, le lavagne con il menu del giorno ormai sbiadito, le strade intorno completamente deserte.
Nelle cucine, ci si annoia. Gli orologi segnano quasi l’una di notte ma dai forni esausti continuano ad uscire escargot bollenti, pavé di salmone con contorno di patatine fritte, gelati e chantilly, caffè e tarte tatin per gli ultimi avventori. S’inizia a contare i soldi, a dividere le monete, a fare i turni e i carichi per il giorno successivo, ad aspettare che anche l’ultimo tavolo si alzi. I cuochi puliscono la cucina. Non ne ho mai visto uno francese. Sono di solito pakistani o indiani dai nomi difficilmente gestibili nel caos di una cucina nell’ora di punta. Gli ultimi che mi è capitato di incrociare erano stati ribattezzati Gérard e Richard, per facilità.
Frequento i ristoranti di notte da quasi tre anni. Mi guardo indietro e mi rivedo ad aspettare appoggiata a un bancone almeno un centinaio di volte, ad ascoltare i commenti dei camerieri, le imprecazioni dei cuochi, ad aspettare qualcosa di troppo vago per essere definito, a vedere che faccia ha la stanchezza quando è costretta a vestirsi in bretelle e camicia. Prima, a fare da sfondo, c’era la Gare du Nord, ora c’è la Basilica di Montmartre. Cambiano gli scenari, ma l’amarezza è la stessa, così come tutto quello che le sta intorno.
Soundtrack: Cocteau Twins, The Spangle Maker
Immagine © Julie Morstad
Quel “non sapere perché” già è frutto di una risposta, che può portare lontano.
Come sono pieni di bellezza questi viaggi, di chi lontano dal sé delle origini, cerca con fatica e coraggio di costruire se stesso.
Solo poche righe e un pensiero. Alla prossima.
I.
Cara Ilaria,
grazie il tuo messaggio, e per le parole che ci siamo scambiate. Spesso i viaggi, anche quelli più lontani, si assomigliano, e si finisce per ritrovare un po’ di noi stessi nelle poche righe di uno sconosciuto…strano, vero?
a presto
V