“La domanda cui cercherò di rispondere è la seguente: perché gli uomini invece di stare fermi se ne vanno da un posto all’altro?”, così scriveva nel 1969 Bruce Chatwin, il più instancabile dei viaggiatori del mondo contemporaneo, in una lettera indirizzata a Tom Maschler. Il suo grande progetto, incompiuto, era quello di dare vita a un inedito “libro nomade”, come si dice nell’introduzione, “destinato a scandagliare una personale inquietudine cui si univa una morbosa preoccupazione per le radici”. Il libro nomade, purtroppo, non vide mai la luce ma “Le Vie dei Canti” (Adelphi) raccoglie non poche delle sue scoperte e considerazioni. Chatwin s’inerpicò sulle pagine di questo libro per anni. Le spalmò su mille taccuini, sparpagliando appunti lungo le sue peregrinazioni, collezionando citazioni, nell’attesa di fermarsi, prima o poi, e mettere giù un personalissimo elogio del camminare che, in questo caso, s’intreccia con una ricostruzione del Tempio del Sogno australiano e con le labirintiche Vie dei Canti.
ODORE D’AUSTRALIA. Tra le pagine, volano folate di polvere rossa, si sparge il forte odore degli eucalipti, sgusciano goanna e canguri, si afferma una luce imperante, “il fulgore dell’Australia che fa sognare il buio”. La storia, però, inizia in una villetta nei dintorni di Stratford-upon-Avon, con un giovanissimo Bruce Chatwin in compagnia di zia Ruth e zia Katie. “Un giorno zia Ruth mi disse che un tempo il nostro cognome era ‘Chettewynde’, che in anglosassone significa ‘sentiero serpeggiante’, e cominciò a germinare nella mia testa l’idea che tra la poesia, il mio nome e la strada ci fosse un nesso misterioso”. Da qui comincia l’infinito “walkabout” di Chatwin, anche lui, come gli australiani in cammino rituale, partito per ritrovare le sue origini e dare una ragione all’irrequietezza dell’uomo. Capire perché si desidera sempre l’orizzonte che si è appena lasciato. “Tutte le volte che vado in Russia non vedo l’ora di andar via. Poi non vedo l’ora di ritornarci”, dice Arkady, la sua guida nell’intricato sogno australiano.
LA CIVILTA’ DEL DESERTO. “Di notte, mentre vegliavo sotto le stelle, le città dell’Occidente mi parevano tristi e aliene, e le pretese del ‘mondo dell’arte’ assolutamente idiote. Qui invece avevo la sensazione di essere tornato a casa”, scriveva Chatwin, dal buio di una notte nel deserto sudanese, ripensando al suo vecchio lavoro come esperto impressionista per Sotheby’s, la casa d’asta londinese, che abbandonò senza rimpianti quando il suo oculista gli consigliò di smettere di guardare i quadri da vicino e volgere lo sguardo a orizzonti più ampi. “Il deserto era un serbatoio di civiltà”, continua nei suoi taccuini, “e i popoli del deserto erano avvantaggiati rispetto agli altri perché erano più morigerati, più liberi, più coraggiosi, più sani, meno pingui, meno vili, meno disposti a sottostare a leggi infami, e, nel complesso, guarivano più facilmente dalle malattie”.
A PIEDI PER IL MONDO. Quando Arkady parte in missione, Chatwin decide di restare, risoluto a riaprire i vecchi taccuini e lasciar affiorare i ricordi. Le traversate in jeep si arrestano per fare spazio alle lente passeggiate di Chatwin, dalla Mauritania a Londra, dai caffè di Parigi al deserto del Gobi, dall’Afghanistan al treno Francoforte-Vienna, ma non solo. Il viaggio nello spazio s’accompagna a un girovagare temporale, attraverso le parole dei grandi letterati, inguaribili camminatori, viaggiatori per vocazione, nello spirito o sulla strada, da William Blake a Herman Melville, da Anatole France a Rimbaud, poeta dalle suole di vento, che per molto tempo si vantò “di possedere tutti i paesi possibili”. Chatwin morì poco dopo aver messo la parola fine al suo lungo itinerario australiano. Era rammaricato per la chiusura della fabbrica di Moleskine, il suo taccuino preferito. Se si fosse ormai rassegnato alla naturale irrequietezza dell’uomo, non ci è dato sapere. Forse, come Kipling, sarà giunto anche lui alla più serena delle conclusioni: “Tutto considerato, al mondo ci sono solo due tipi di uomini: quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno”.
Qui l’articolo pubblicato su OggiViaggi.
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