Times Square Lies

Times Square, disse Qoelet, è “un infinito niente, una fame di vento. Il vuoto”.

Ingannevole, già a partire dal nome, Times Square non è una piazza, è solo un largo incrocio di strade, precisamente Broadway e la Seventh Avenue, una confluenza di due arterie, ricoperta da insegne al neon e cartelloni pubblicitari. Il nulla mascherato da città.

A pochi passi dal mio ostello, primo domicilio conosciuto a New York.

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È forse questo il cuore di Manhattan? Io penso, e spero, di no.

A Times Square, è impossibile non passarci. Non si può non vederla Times Square, dove il giorno non finisce mai e l’elettricità ha vinto ogni pretesa, anche quelle della notte più buia. Ma qui c’è solo folla e luci. Solo intermittenze e cortei frettolosi di passanti. Nucleo pulsante del Theater District, con i suoi tombini fumanti e gli hot dog più cari di tutta la city, “The Crossroads of the World” è la più chiassosa bugia di New York, rinchiusa tra anonimi grattacieli.

Eppure le sedie a bordo strada sono sempre occupate, le persone guardano in faccia i palazzoni che fanno da cornice a questo rumoroso non-luogo di New York City. È curioso come ci s’ingegni e si faccia anche la fila per guadagnarsi il posto a un tavolino affacciato sulla street, per godere forse dell’improbabile piacere di restare abbacinato dai titoli urlanti degli ultimi musical. O forse per sentirsi parte del battito accelerato di queste strade. Perché altrimenti a Times Square non ci sarebbe nient’altro da fare.

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Un parco giochi senza attrazioni, un immenso sfavillare di insegne e negozi dozzinali, un pretenzioso ombelico del mondo dove ogni anno passano circa 26 milioni di turisti. E da cui fugge ogni newyorchese che si rispetti. Perché, se per chi è appena sbarcato nella Grande Mela non c’è niente di più pittoresco dell’accozzaglia di white noise e colori di Times Square, per i cittadini non c’è niente di meno newyorchese.

Si sta stretti sui marciapiedi e si corre per le strade, tutt’intorno sfilano cavalli sfortunati, audaci travestiti da Statua della Libertà, i soliti venditori ambulanti e gli immancabili turisti e collezionisti di souvenir. I newyorchesi passano veloci, gli ultimi arrivati si fermano imbambolati con il naso all’insù mentre nei loro occhi si accendono e si spengono i nomi delle star e delle commedie on stage. “Mamma mia”, “Mary Poppins”, “Billy Elliot”, la city accontenta ogni fantasia. E tutti si lasciano soddisfare dal più effimero e cangiante dei musei.

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Chiusa nel 2009 per decongestionare l’intero quartiere, Times Square è stata ripensata in chiave minimalista, e ultracontemporanea, da Snohetta, uno studio di architetti di Oslo che ha accettato la sfida di ridare a questa piazza un volto più umano, vivibile per gli autoctoni e realmente interessante agli occhi dei visitatori. Prima mossa: eliminare il dislivello tra strada e marciapiede, permettendo così alla piazza di essere fruibile per tutti, attraversabile per chi è solo di passaggio e più lenta per chi ha voglia di fermarsi e lasciarsi rapire dalle fantasmagorie dei neon. Un cambiamento radicale che costerà complessivamente 27 milioni di dollari.

Io intanto sono già passata. Di corsa, subito, nel rettilineo della 47esima strada. Rapida come ogni altra cosa catturata da Times Square. Sua solo il tempo di attraversare.

Illustrations © Greg Betza

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