Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte,
eppure tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’ anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.
Emily Dickinson
E se il vero lusso fosse lo spazio? Era un foglio, una pubblicità, con una maratona, una strada affollata e un corridore solitario, lontano da tutti gli altri. Una pagina di giornale, un po’ spiegazzata che, come segno di ribellione adolescenziale, è stata appesa nella mia vecchia cameretta per un bel po’ di mesi, con la scritta in bella mostra: E se il vero lusso fosse lo spazio? Erano tempi in cui allargare gli orizzonti significava prendere la bicicletta e andare ad abbracciare gli ulivi nelle campagne salentine, immaginarsi parte di una grande città universitaria, o addirittura all’estero, scoprire, da sola, un nuovo libro, un autore di cui non si parlava a scuola.
Erano giorni strani, fatti di storie e grandi progetti, fatti essenzialmente di solitudine, una condizione naturale in cui leggere Virginia Woolf chiusa in una stanza, sebbene senza reddito alcuno, sembrava già essere un passo per fare della scrittura il mezzo che m’avrebbe permesso di vivere in autonomia. Un primo passo per avere uno spazio tutto per sé, in un angolo non meglio precisato del pianeta. Perché, come scrive Elena Fiorini su No Borders Magazine, “in Terza Liceo, ci finisci lo stesso a fissare le tue vertigini fuori dalla finestra, invidiando tutte quelle macchine che sfrecciano in autostrada dirette chissà dove. Ci finisci lo stesso a desiderare di partire per venirti un po’ incontro. Ci finisci lo stesso a sperare di ritrovarti, se non di trovarti alla fine del mondo. O poco più in là”.
Trovarsi in un buco, in fondo al buco, in una solitudine quasi totale e scoprire che soltanto la scrittura ci salverà. Essere senza alcun argomento di libro, senza alcuna idea di libro significa trovarsi, ritrovarsi, davanti a un libro. Un’immensità vuota, un libro eventuale. Davanti a niente. Davanti a una scrittura viva e spoglia, in un certo senso terribile, terribile da sormontare. Credo che la persona che scrive non abbia nessuna idea di libro, ha le mani vuote, la testa vuota e conosce dell’avventura del libro soltanto la scrittura asciutta e nuda, senza futuro, senza eco, remota, con le sue regole auree elementari: ortografia, senso.
Marguerite Duras, Scrivere
Negli anni a venire, la solitudine è diventata uno stato di famiglia, un qualcosa che difficilmente ci si può scrollare di dosso, come una di quelle abitudini che si disprezzano in pubblico ma di cui andiamo segretamente fieri. E, paradossalmente, adesso che per inconfutabili ragioni fisiche sono sempre in compagnia, per parafrasare Emily Dickinson, senza la mia solitudine, mi sento ancora più sola. Come se avessi perso un pezzo per strada, se avessi preso una deviazione senza accorgermene, come se da quell’ammasso di puntini grigi che ero diventata lo scorso anno, costretta a ricominciare da zero, sia venuto fuori uno scarabocchio non meglio definito, straniero a se stesso, bisognoso di cure.
Lo scorso anno, con pochi averi in tasca, uno zaino sempre pronto, l’imbarazzo continuo di dover ripetere a ogni nuova conoscenza il mio stato di disoccupata, la difficoltà nello spiegare a tutti che stavo facendo un esperimento, che volevo ritrovarmi da sola, in una nuova città per rimettere insieme i pezzi, unire i puntini, ricomporre un’esistenza andata in frantumi. Non mi sono mai sentita così sola. Eppure, non mi sono mai sentita così viva, come le sere in cui tornavo a casa in bicicletta, dopo il laboratorio di teatro, sotto la pioggia, lungo i viali di Padova. Piazza Mercanti, a Milano, deserta, a mezzanotte, e io che tornavo dal Piccolo Teatro. I caffè al Bar Magenta, prima di andarmene per Parco Sempione. Guidare da sola lungo la litoranea, da Gallipoli in giù e ritorno. Non era facile, ma sentivo in qualche modo di star tracciando una strada, solo mia.
La solitudine, diceva De Andrè, non tutti se la possono permettere. Anime Salve, il suo ultimo album registrato in studio, uscito nel 1996, secondo un’etimologia più desueta, significa spiriti solitari. Rimanere da soli con se stessi, anche per il breve tempo di un pomeriggio, è una porta d’accesso al mondo esterno. La solitudine permette di “accordarsi meglio con il circostante”, che non è fatto solo di altri individui, ma “di una foglia che spunta nel campo di notte”, delle onde del mare, di un nostro respiro. La solitudine, in fin dei conti, permette di pensare meglio ai nostri problemi e, se siamo fortunati, anche di trovare migliori soluzioni. E io già l’avevo capito, in terza liceo.
Sia lodato il cielo per la solitudine. Lasciatemi solo. Lasciate che getti via questo velo dell’essere, questa nube che muta al minimo soffio, notte e giorno, tutta la notte e tutto il giorno. Mentre stavo qui seduto, sono cambiato. Ho visto il cielo mutare. Ho visto le nubi coprire le stelle, poi liberarle, poi coprirle di nuovo. Ora non vedo più quei mutamenti. Ora nessuno mi vede e io non muto.
Virginia Woolf, Le onde
Images © Shout
Soundtrack: Bandabardò e Davide Enia, Nino e Carmela
L’ho letto d’un fiato. Come per tutte quelle cose che si riconoscono come proprie, di cui si avverte vicinanza ed empatia. Dolore anche, poiché si è vicini, spesso, anche nella rovina. Capisco tutto, i fogli attaccati al muro, i vetri di una qualsiasi aula da liceo, i prati in bicicletta e i cieli d’estate, le gazze ladre e il canto dei grilli. Capisco il tono, quanto la solitudine sia un luogo, una meta, una condizione dell’essere che ci permette di stare all’erta, ricercare, andare avanti e scoprire avventure che non avremmo conosciuto mai se fossimo stati diversi: in compagnia, seduti ad attendere, persi in una noia senza confine. Ora che tu hai il resto – la condizione della non più solitudine – mi viene di dirti che no, che non è vero, che non tutto è perduto. Certo, non sarà mai più uguale, non sulle stesse note, è cambiata la melodia. Ma tu, V., anima pellegrina, il modo lo troverai. E, insieme, altre stanze dove stare, altre finestre da guardare, altre campagne da scoprire e tante, infinite, gite in bicicletta. Non è finita, ne inizia una nuova, tutta tua, tutta da scoprire. I.
Cara Ilaria,
grazie infinite ancora una volta per le tue parole, per essere la campana di risonanza dove i miei pensieri spesso vaghi e disordinati prendono un contorno più deciso.
Per un’ironia della sorte, la nuova vita mi ha colto alla sprovvista proprio il giorno dopo della pubblicazione di questo breve post, da allora tutto è cambiato, è vero che la solitudine non c’è più ma sono io a non sentirne più il bisogno, almeno per ora.
La mia vita è un’altra, ma questa è un’altra storia, che ti racconterò in privato.
Ti ringrazio e ti mando un forte abbraccio
V.
Ho letto questo post come se descrivessi una parte della mia anima. Vorrei poter scrivere qualcosa di più ma le tue parole hanno dato davvero un senso a ciò a cui stavo meditando in questi giorni con sempre più frequenza.
Ciao Valentina, grazie per il tuo commento, è bello sapere che sensazioni così personali possano risuonare e avere un’eco anche negli altri.
Ti ringrazio ancora e alla prossima!
V.
Hai dato voce ai miei pensieri. Non aggiungo altro perché non serve, ma volevo almeno dire grazie.
Ti ringrazio per il tuo commento e per essere passata di qui.
ho dato un’occhiata al tuo blog, è molto bello…ci ritornerò!
A presto!
Grazie a te, Valeria. A presto!