La prima volta che ho guardato negli occhi Dora e Raniero, protagonisti dell’ultimo album di Manuele Fior, è stato a Parigi, in un pomeriggio di pioggia a Gare de l’Est. Erano ancora spalmati sulle tavole, in attesa di essere impaginati, stampati e recapitati nelle librerie francesi e italiane. All’epoca il titolo era uno solo, “L’Intervista” (Coconino Press), pensato per rimanere in italiano anche nella versione francese, e la trama era un groviglio di fantasticherie che si sono animate in libertà nella mia testa, dopo l’intervista, quella vera, con Manuele Fior.
“È una storia di fantascienza”, raccontava, “che non ha nulla a che vedere con la mia vita”. “L’Intervista” è ambientato nell’Italia del 2048, in un futuro prossimo dove, in seguito ai moti del 2021, il paese ha subito la “disunificazione” e gli adolescenti delle ultime generazioni non sanno cosa sia una matita o un compasso, adepti della Nuova Convenzione, che “si basa sul principio di non esclusività emotiva e sessuale”. Una promiscuità discreta e comunemente accettata, che continua a turbare le menti più tradizionali ma sembra fatta apposta per salvaguardare dal male di vivere e dall’abisso dell’abbandono, che invece pare assediare Raniero.
Raniero, vittima di un incidente e di strane allucinazioni, e di un matrimonio caduto nelle grinfie della quotidianità più feroce, porta in giro la sua faccia rassegnata, con “l’aria di uno che soffre parecchio… ed è convinto per questo di meritarsi qualcosa”. “Perseguitato dal disgusto”, teme di intravedere in Dora, una delle sue pazienti, seguace della Nuova Convenzione e incapace di essere gelosa, una via d’uscita, fin troppo piacevole, alla sua grigia routine.
“Voglio scoprire anche io, come un semplice lettore, come andrà a finire la storia“, aveva dichiarato Fior nella nostra intervista, “lasciarmi portare dai personaggi e seguirli“, raccontandomi di non avere alcun piano, alcuna trama in mente all’inizio di ogni bozza, ma solo il desiderio di creare un’opera di fantascienza, che, inevitabilmente, si è mescolata ai suoi temi ricorrenti: l’amore, la difficoltà di restare sulla stessa linea, senza un secondo, o più, di distanza. “Ho pensato molto ad Antonioni“, ha rivelato Fior ad un giornale francese, indicando come “La Notte”, con una splendida Monica Vitti, eroina romantica di un dramma borghese, l’abbia ispirato non poco.
Abbandonati gli acquarelli di “Cinquemila chilometri al secondo”, Manuele Fior si perde in un chiaroscuro di ombre e tratti morbidi, in una fantasia di grigi e bianchi sfumati, tra un nero indeciso e un avorio timido, come un ritratto vintage di un futuro distopico, come una fotografia degli anni ’60 spedita nello spazio e nel tempo, quasi cento anni dopo.
Tra sinuosità umane e geometrie aliene, sul nero delle pagine de “L’Intervista” si stagliano finestre improvvise spalancate su un centro storico blindato, i fari delle auto nella notte, inattesi triangoli disegnati nel cielo, sintomo che una nuova era è vicina. La luce come forza creatrice di nuove forme inattese, come ne “La Guerra dei Mondi” di Steven Spielberg, pellicola che ha ispirato Fior, insieme a tutto il filone classico della fantascienza, da Asimov a Orwell.
Le tinte chiaroscurali, le sfumature del bianco e nero, raccontano un futuro prossimo ma intriso di mistero, dove l’umanità sembra decisa a semplificare ogni complicazione sentimentale, puntando alla trasparenza coatta, alla chiarezza ultima.
Nelle pagine finali dell’album, tale eccesso di franchezza diventa radicale e tutti i personaggi possono leggere nella mente altrui. Sembra di trovarsi davanti allo stadio evolutivo ultimo dell’essere umano, in cui bipedi previdenti hanno imparato a salvaguardarsi dai soprusi delle emozioni, dai nodi in gola della gelosia, dal male acuto del fallimento, sviluppando un nuovo istinto di sopravvivenza e rinunciando una volta per tutte alle emozioni dell’amore. E alle sue meschinità.