L’ho incontrato un pomeriggio d’agosto, nella sua casa affacciata sul Canal de la Villette, dalla quale non usciva ormai da tanti anni. La malattia lo costringeva, lui, letterato vagante, a una sola peregrinazione, quella nel suo studio, traboccante di libri e scritture. Le foto che accompagnano gli ultimi articoli mostrano un altro Jacques Le Goff, più giovane, anche forse più sbruffone. In realtà, era molto più magro, aveva perso quel ghigno da tempo, piegato dagli anni sulle spalle, dalla necessità del bastone, dalla convivenza di una memoria di ferro e un’intelligenza fervida in un corpo ormai logoro.
Discutemmo del tempo, delle sue forme, dei corsi e ricorsi storici, degli anni che vanno a passo di gambero. “Il tempo è un fenomeno multiplo”, raccontava, “gli uomini hanno cercato di imprigionarlo, attraverso strumenti che si sono perfezionati nei secoli, dai tre minuti di sabbia della clessidra alla meridiana, all’invenzione rivoluzionaria dell’orologio meccanico. Ma il tempo umano sfugge a tali misurazioni. È il tempo sbiadito del ricordo, quello lento dell’attesa, è il tempo veloce della paura e dell’amore, è raramente solo naturale”.
Mentre le ore passavano, correvano anche i secoli. Dai campanili dei primi monasteri arrivammo all’Europa, all’oscurantismo di Angela Merkel, “se ci si sbarazzasse di lei sarebbe meglio per tutti”, alle lente conquiste dell’uomo che, forse, solo la prospettiva ampia di uno storico può cogliere. “Non siamo ancora usciti dall’effimero”, mi diceva, “credo che l’avvento di un’Unione Europea compatta e coesa si accompagnerà all’abbandono del reame dell’effimero per entrare in un’era di movimento e sviluppo, costante ed evolutivo. E questo non è l’unico retaggio dell’era moderna che pesa sull’umanità: siamo invischiati nei nostri angusti mondi quotidiani, nelle problematiche della vita personale, vittime di un certo narcisismo, diventato quasi un’ossessione per i nostri piccoli drammi. Novelli romantici, rannicchiati nel nostro sé, a confezionarci una perfetta immagine di noi stessi”.
Terrorizzato all’idea di dover un giorno insegnare via computer e piegarsi agli infernali utensili della vita contemporanea, Le Goff aveva ancora un’ultima ragione per sentirsi professore: “il rapporto con i miei studenti, con i quali ci scriviamo ancora adesso”. Una predilezione per il tempo decelerato, per la calma della notte, che concilia il ragionamento, la riflessione, la scrittura. Prima di salutarmi, mi regalò il “suo” San Luigi, la sua ultima grande opera, quasi 1000 pagine dedicate alla vita del santo, e mi disse: “Vivere al rallentatore è ancora possibile, soprattutto, nel senso più letterale. Pensiamo agli astronauti: corpi sparati nello spazio alla velocità della luce, costretti a muoversi come in una moviola una volta dentro l’astronave. Questo è un nuovo modo di vivere il tempo che di certo nel Medio Evo gli uomini non avrebbero neanche concepito. Sono sicuro che nuove forme di tempo ci aspettano, più veloci sicuramente, ma anche più lente, che adesso non riusciamo neppure a scorgere all’orizzonte, ma che verranno presto a sorprenderci”.
Jacques Le Goff (1° gennaio 1924, Tolone – 1° aprile 2014, Parigi)
A questo link, il numero di World, il magazine internazionale di Pirelli, con la mia intervista in inglese a Jacques Le Goff. Il mio nome, per ermetiche logiche di mercato, non c’è. Dovrete credermi sulla parola.