Chiudere il cerchio, radunare il raccolto, unire i puntini e vedere, finalmente, un disegno, qualcosa di chiaro, visibile, sensato. Sentire di potersi fermare, anche solo per poco, di non dovere più spingersi oltre, di potersi sedere e guardare il paesaggio che scorre. Perché si era già fatto tanto, forse troppo. E tutto subito. Quando invece, forse, si poteva fare meno, ma meglio. Più lentamente, ma tutti insieme.
Ma era già tardi, perché si era andati veloci come un treno, 5000 km al secondo, si era bruciata la strada senza vedere nulla dal finestrino, senza fermarsi più nemmeno a chiedersi il perché. Perdere di vista, giorno dopo giorno, il cammino, i compagni di viaggio, persino la destinazione.
C’è uno strano modo di imparare le lezioni. Quello di ottenere quello che si desidera e poi vederlo crollare, quello di raggiungere un traguardo che, immediatamente, perde importanza, quello di sentire l’amaro in bocca perché in mano ci si ritrova esattamente quello che si era chiesto. Quello di pensarsi al sicuro, con la propria piccola verità, intoccabili, con la propria piccola ragione. E poi all’improvviso aprire gli occhi.
Scivolare giù, in una paurosa nebbia di memorie, tornare a guardare e vedere che niente è come sembra, e che vie d’uscita non saranno offerte, ma solo conquistate a fatica, e mai una volta per tutte. Avvertire che dentro qualcosa si è rotto e che adesso non c’è spazio né tempo per altro che non sia sopravvivere, riparare, ricucire, rimettere tutti i pezzi al loro posto e sperare che tengano. Ma anche toccare il fondo più basso, farsi attraversare dal buio, mettersi alla prova per vedere quello di cui si è capaci, correre fortissimo per non sentire più niente, capire che i limiti creduti non esistono e che a passare dall’altro lato, quello dove mai avremmo pensato di essere, ci vuole solo un soffio.
E oggi, a pochi passi da Natale, restare in piedi fino a notte fonda, a guardare il soffitto, a voltarsi indietro e vedersi coperta di polvere, sola, a imparare la più dura delle lezioni: essere grata per dover tornare a seminare, per avere l’opportunità di farsi ancora seme, rompersi in profondità e lasciare andare, poter sbocciare ancora e ancora.
Soundtrack: The Smiths, This night has opened my eyes
C’eri mancata tanto, e ora torni, così. Coraggio V., sono sicura che la semina sarà rigogliosa.
Grazie, cara I.
Il tempo della semina è lungo e l’arte dell’attesa scivolosa e infida. Ce la faremo, sicuramente.