“Per vent’anni ho studiato la lingua italiana come se nuotassi lungo i contorni di quel lago. Sempre accanto alla mia lingua dominante, l’inglese. Sempre costeggiandola. È stato un buon esercizio. Benefico per i muscoli, per il cervello, ma non certo emozionante. Studiando una lingua straniera in questo modo, non si può affogare. L’altra lingua è sempre lì per sostenerti, per salvarti. Ma non si può galleggiare senza la possibilità di annegare, di colare a picco. Per conoscere una nuova lingua, per immergersi, si deve lasciare la sponda. Senza salvagente. Senza poter contare sulla terraferma”.
Jhumpa Lahiri è una scrittrice statunitense di origine bengalese. Vive a Roma, da quando ha deciso di abbandonare definitivamente la sponda conosciuta e andare a vivere in Italia. Questo è un estratto dal suo primo racconto pubblicato su Internazionale in lingua italiana, “La traversata”.
Leggo queste righe di ritorno in Francia, dopo dieci giorni in Italia. Precisamente dopo l’ennesima boutade del più celebre erede di casa nostra sulla voglia di lavorare dei giovani italiani e a qualche ora dalla notizia che un certo Baricco sia tra i preferiti del neo premier (eletto in piena post-democrazia bypassando spensieratamente le elezioni) per il Ministero della Cultura. In pochi giorni, presso la sponda conosciuta, ho assistito allo scandalo delle rivelazioni di Friedman e mi sono chiesta se ormai non avessi attraversato da troppo tempo il lago per capire il perché di tutto questo parlare concitato attorno a un libro di un giornalista inglese (forse anche lui stupito dal tanto rumore a giudicare dalla faccia basita che mostrava nei talk show) che racconta come un Presidente della Repubblica abbia potuto contattare anzitempo un uomo di fiducia in vista di un nuovo governo.
Ho seguito, con curiosità e amarezza, l’ennesima caduta di governo, la legge elettorale che non riesce a decollare e l’avvento di un Matteo Renzi trionfante in Smart che promette finalmente brezze politiche nuove facendo comunella con Alfano, regalandoci soprattutto una memorabile staffetta di San Valentino. Dai piani alti, precisamente il suddetto Alfano, ci si rallegra “kafkianamente” (cit.) dei risultati del governo Letta per un misero +0,1% di PIL, ignorando l’impennata di suicidi dovuti alla crisi nel 2013 (l’ultimo, l’imprenditore padovano Zanardi) e i 478 decreti (di cui 50 urgentissimi) che il governo Renzi eredita dalle precedenti legislature, Monti e Letta, provvedimenti necessari per completare le riforme previste per il rilancio dell’economia. In ultimo, ho visto la faccia di Giovanardi senza vergogna nel protestare contro la decisione della Corte Costituzionale che ha finalmente invalidato la legge che porta il suo nome e, al disgusto non c’è mai fine, gli occhi lucidi di Barbara D’Urso davanti alla protagonista della cronaca rosa della settimana, Raffaella Fico.
Ho rivisto amici, parenti, il mare, i kite-surfer, i miei vecchi libri di fiabe. Ho intravisto per le strade un cucciolo di poney portato al guinzaglio e un uomo vestito da panda che chiede l’elemosina nel centro storico di Padova. Ho bevuto meno campari soda di quanti avrei voluto e mangiato la quantità di cibo che di solito ingurgito in un mese. Ho letto tanti libri, giornali dalla prima all’ultima pagina, passato ore a guardare su YouTube tutti i video per i quali non ho mai tempo.
Lungi dal considerare la Francia come il paese perfetto, ho iniziato giorno dopo giorno a desiderare di tornare a casa. Nonostante l’amarezza delle recenti vicende politiche, credo sia una semplice questione di routine quotidiana. Volevo tornare a lavorare la mattina presto, a scrivere verso le 8 di mattina quando la mia casa è inondata di luce, a sentire di nuovo le zampe dei gatti di notte o il suono del sassofono della rue Fernand Léger la sera, quando torno verso casa. Forse perché le cose che hanno lo stesso odore devono stare insieme. O semplicemente perché, come diceva Chatwin, si torna a casa solo per desiderare di partire di nuovo e viceversa.
Sono tornata a Parigi, certa che questo viaggio abbia sortito l’effetto sperato. Preferisco restare oltre la sponda conosciuta, con l’eventualità di annegare, colare a picco, dove continuo a non toccare il fondo con i piedi, ma annaspo sempre di meno.
Image © Gabriella Giandelli
Soundtrack: Sono un ribelle mamma, Skiantos
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