Quest’estate, ho trascorso molti pomeriggi a svuotare un secchiello pieno d’acqua su uno scoglio. Io lo riempivo, lo passavo ad André, 20 mesi, lui ne riversava il contenuto sulla roccia, ci facevamo una bella risata e ricominciavamo. Ogni mattina, ripetiamo gli stessi giochi. Émile, cinque anni quasi e mezzo, ama guardare il suo cartone preferito a ripetizione, la sera leggiamo lo stesso libro per mesi.
È noto ormai che la routine faccia bene ai bambini. Che la ripetizione di gesti, giochi, frasi, esperienze, ritmi, rassicuri e conforti, ed è la base sicura dalla quale prendere il volo per affrontare quella straordinaria avventura che si chiama crescita, le prime volte, la scoperta del mondo.
C’è un’altra fascia d’età, che ama ripetere ed è confortata dai gesti sempre uguali e dai ritmi che non riservano mai sorprese, ed è quella degli anziani. Durante i primi mesi di pandemia, in seguito alle tragiche notizie di quanto avveniva nelle case di riposo, ho letto numerosi articoli sulle case di cura e le loro abitudini. In particolare, un’inchiesta del The Economist, tradotta da Internazionale, che raccontava del Green House Project, dove vige una sorta di abolizionismo delle case di riposo.
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