La mia scuola

In questo strano anno pandemico, dove la casa è diventata rifugio, prigione, raccoglimento, luogo di timori e di pace, di sconvolgimenti e riposo, sono state tantissime le prime volte. Ho messo piede in ambienti, paesi, case, persone, ambiti, mestieri, in cui non m’ero mai cimentata, e tanti di questi primi incontri mi hanno sicuramente aiutata a restare a galla nei mesi in cui la seconda maternità e un’epidemia di quelle che si raccontano solo nelle storie di santi e vergini miracolose mi imponevano di restare tra quattro mura.

Tra queste prime volte, c’è la scuola. Quella con la S maiuscola, quella pubblica, delle circolari e delle indicazioni ministeriali, quella che leggi nei manuali e ti brillano gli occhi, quella che vai a vedere di persona e ti si stringe il cuore. La mia scuola è in un paesino di pochissimi abitanti circondato dalle campagne. Ci si conosce tutti (me esclusa, che sono tra le ultime arrivate). I cognomi sono ricorrenti e ci sono solo tre classi, riempite di fratelli, cugini e amici di famiglia. I bidelli (qui si fanno chiamare ancora così) sono anziani e più che operatori sembrano quasi gli zii o i nonni, che abbottonano i cappotti, sentono la febbre con la mano sulla fronte e aiutano ad andare in bagno.

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