Video Killed the Radio Star: Italiani a Parigi

Poco meno di due mesi fa, Luciana Mella, di Radio Colonia, emittente italiana di base in Germania, mi ha telefonato per farmi qualche domanda sulla vita dei giovani italiani in Francia, precisamente a Parigi. Mi ha trovata nell’unica settimana francese della mia estate, trascorsa, per il resto, interamente in Italia, tra il Veneto e Lecce, anzi quel non-luogo alla periferia della città che è l’ospedale di Lecce (ma questa è un’altra storia).

Ero a casa, l’appartamento per due bipedi e due felini che abbiamo trovato a maggio e che lasceremo a novembre, stavo per finire un articolo e aspettavo la telefonata. Luciana mi ha chiesto qualche informazione generale, sulla routine di un’italiana a Parigi, le difficoltà principali nel trovare un tetto e un lavoro, le reti di solidarietà tra italiani all’estero, e l’intervista si è conclusa dopo pochi minuti. E io dopo pochi giorni sono partita per l’Italia, ritrovandomi faccia a faccia con tutto quello che avevo lasciato da parte, con un passato che avevo spensieratamente dimenticato e che mi è ripiombato addosso senza avvertire (ma anche questa è un’altra storia).

Ripensando alla telefonata con Luciana, avrei voluto parlarle di più di Parigi vista dagli occhi di chi, pur da straniero, è diventato ormai un locale, di come la città si stia inchinando al turismo, prendendo le forme di un gigantesco parco giochi per macchine fotografiche eccitate e gruppi di pensionati d’assalto. Di come paradossalmente, l’ultima volta che mi sono spinta nella Rive Gauche, nella vecchia Parigi che si srotola sulla Senna, con le sue strade tortuose, che vivono in silenzio, nascoste dal delirio di Notre-Dame, tutto mi sia sembrato più naturale, persino più vero, della miriade di enoteche, caffè e boutique sul Canale, che fanno a gara per sembrare di essere appena usciti da Brooklyn o Berlino. Avrei voluto dirle di come tutto si stia facendo troppo esclusivo, troppo unico, per poter essere anche divertente.

Ma non c’era molto tempo. E quindi, prima le cose serie, casa e lavoro, due parole in grado di far scendere i brividi lungo la schiena a ogni straniero a Parigi. Si è chiacchierato un po’ di casupole al sesto piano senza ascensore a 1600 euro al mese, di dossier simili a una candidatura per la NASA per poter supplicare i proprietari di lasciarti in affitto il loro monolocale di pochi metri quadri (mai a meno di 800 euro al mese), di visite per la casa simili a colloqui di lavoro…insomma tutta robaccia che i residenti nella Ville Lumière conoscono, ahimè, fin troppo bene.

E poi di lavoro, di come la maggior parte delle volte sia necessario fare un passo indietro, ripartire da uno stage, da un corso universitario per poter accedere al mondo professionale, e di come, tra i tanti italiani, anche over 30, sbarcati nella capitale, sia forte e contagiosa la voglia di rimettersi in gioco, di darsi un’altra possibilità, di ricominciare e trovare qualcosa di più affine ai propri studi e centri d’interesse, mettendosi alla pari con una popolazione di autoctoni che a 23 anni hanno già posizioni senior, si presentano come liberi professionisti già avviati e sanno già quello che vogliono dalla vita, senza il minimo tentennamento.

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waiting for you to come home © Witchoria

Mi sono interrogata a lungo su cosa volessi fare il prossimo anno, su quale città avrei scelto come sfondo e alla fine mi sono decisa a tornare a Parigi, promettendomi di lasciarla un po’ più spesso e di viaggiare più di frequente, rispetto allo scorso catastrofico anno, che mi ha distrutto nervi, corpo e spirito. Avevo detto a Luciana che, probabilmente, sarei tornata a Parigi dopo la parentesi estiva, ma all’epoca non ne ero ancora convinta. Oggi ho acquistato il volo di ritorno per la Francia e sono (quasi) sicura di volerci tornare, malgrado tutto, nonostante la fauna umana, gli affitti da capogiro, lo scontro quotidiano.

Torno, un po’ perché il ritorno a casa, da un po’ di anni, per me significa arrivare a Parigi-Beauvais, insieme ai meridionali che saltano la fila e che battono le mani al momento dell’atterraggio, un po’ perché sono ancora convinta che le cose e le persone che hanno lo stesso odore devono stare insieme, perché l’euforia è rarissima, ma quando c’è è assoluta, infinita, travolgente, perché inizio a soffrire di nostalgia anche per le strade più anonime e gli angoli più trascurati. E poi perché, in tempi in cui è necessario cambiare prospettiva, Parigi quest’anno mi ha offerto un punto di vista nuovo da cui guardare il mondo e io non vedo l’ora di cominciare.

Qui il link al servizio di Luciana.

Dedicato all’amico di famiglia che, durante una delle poche giornate di mare quest’estate, mi ha apostrofato così: “e tu a Parigi stai ancora? va bene dai, se ti vuoi divertire un altro po’ prima di sistemarti…”.

Soundtrack: All Ears, The Whitest Boy Alive

Credits photo © Witchoria

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“Mille radio a Parigi”: il Natale dei senzatetto

Non cibo, non coperte, non vestiti. Ma una semplice radiolina portatile, che funziona a pile e si ricarica con l’energia solare. Questo è il dono che hanno ricevuto i tanti, sempre di più, clochard della città di Parigi, grazie all’operazione “Mille radios à Paris”. L’idea è nata lo scorso anno, dall’associazione Les Enfants du Canal, fondata nel 2007, in riva al Canal Saint-Martin, quartiere scelto non a caso per via della sua allure chic e patinata.

“Un piccolo gesto per far sì che non siano, per l’ennesima volta, isolati”, hanno dichiarato i responsabili dell’associazione. Non è infrequente, infatti, che proprio nel periodo natalizio, i senzatetto della capitale si rifiutino di andare nei centri e nei luoghi d’accoglienza a loro destinati, per non sentirsi ancora più soli, circondati dalla folla.

C’è chi non vede l’ora di ascoltare il jazz al risveglio, chi invece è contento di poter finalmente essere informato sull’attualità, mattina e sera. “L’obiettivo è far sì che si sentano, per una volta, parte della realtà”, spiegano dall’associazione, “che possano approfittare anche loro della presenza della radio, di un po’ di calore umano, di una semplice voce”, ma soprattutto dare loro un piccolo oggetto che consenta alle interminabili e fredde giornate d’inverno di passare più in fretta. Le radio sono state distribuite nella maggior parte delle grandi città francesi, con l’aiuto di 30 associazioni locali e il contributo della Fondation Abbé Pierre, della Fondation de France e di RTL.

© Radio France - Nathanaël Charbonnier

© Radio France – Nathanaël Charbonnier

Secondo uno studio dell’Insee, pubblicato lo scorso luglio, i senzatetto a Parigi sono aumentati del 50% rispetto al 2001. Oggi (i dati sono aggiornati agli inizi del 2012), la città conta circa141.500 persone senza fissa dimora, tra cui 30.000 bambini. Lo studio ha, inoltre, evidenziato come almeno un quarto dei senzatetto della capitale fossero parte della categoria dei cosiddetti “lavoratori poveri”, aventi uno stipendio insufficiente a pagare un affitto.

All’indomani della pubblicazione del rapporto, le associazioni che si battono per il diritto all’alloggio hanno protestato contro una cattiva gestione politica, in grado solo di adottare misure improvvisate e stagionali, incapace di elaborare una soluzione a lungo termine e di più ampio respiro per uno dei problemi più gravi della capitale. I soli centri d’accoglienza, infatti, non sono più sufficienti: almeno il 10% dei senzatetto ha rifiutato di essere ospitato in una delle strutture di Parigi, per la grave mancanza d’igiene.

Per sensibilizzare la popolazione francese, forse ignara dei 3,6 milioni di “mal-logés” in tutto il paese, la Fondation Abbé Pierre ha lanciato lo scorso dicembre una nuova campagna di denuncia all’indifferenza e alla noncuranza, che ha raggiunto i cittadini attraverso circa 12000 manifesti pubblicitari per strada, messaggi radio e video diffusi sul web e in televisione. È il fotografo Hervé Plumet a firmare queste immagini, che affiancano il grigio della città, al quale queste persone sembrano quasi volersi fondere, al filtro vintage dei ricordi di giorni felici, secondo lo slogan “Ils ont eu un passé. Aidons-les à retrouver un avenir”, letteralmente “Hanno avuto un passato, aiutiamoli a ritrovare un futuro”.

© Hervé Plumet - Fondation Abbé Pierre

© Hervé Plumet – Fondation Abbé Pierre

Lo scorso anno, il quotidiano Le Monde aveva raccolto i commenti a caldo dei senzatetto che avevano appena ricevuto una radio. Luc40 anni, le sue giornate passate ai piedi dei grattacieli di Porte Maillot, a guardare i passi esitanti dei turisti appena sbarcati da Beauvais, si diceva felice di poter finalmente seguire meglio il governo di Hollande. Lionel60 anni, era finalmente entusiasta di poter continuare a girare il mondo: “ho lavorato per 24 anni al Club Med, ho vissuto in centinaia di paesi diversi, adesso posso tornare a sapere quello che succede nel mondo”.

Non c’è nulla di più indispensabile del superfluo, aveva scritto Oscar Wilde. E la storia sembra avergli dato ragione.

Qui l’articolo pubblicato su FQParigi, il blog sulla capitale francese de Il Fatto Quotidiano.