Padova: un mese di Sherwood Festival

Una storica rassegna musicale e culturale che anima la bella stagione di Padova fino a luglio inoltrato. È lo Sherwood Festival, al parcheggio nord dello Stadio Euganeo che si trasforma in un’area viva e brulicante, con un programma fittissimo (dall’11 giugno al 19 luglio) di concerti, live, proiezioni, dibattiti, incontri, birra che scorre a fiumi e dance floor fino a notte fonda.

LE BIRRE ARTIGIANALI. L’edizione 2014 dello Sherwood Festival prevede non poche novità. Tra quelle più gustose i tre nuovi corner food and beverage: il festival itinerante Fermenti, dedicato alle birre artigianali, che fa tappa allo Sherwood il 4, 5 e 6 luglio, ma dispone di uno stand fisso con 150 birre a rotazione per tutta la durata del festival; la Barraca Do Sport Alla Rovescia, un chiosco ispirato alle capanne brasiliane; il ristorante etnico Teranga, con piatti esotici e posti a sedere per tutti. Un’offerta più ricca rispetto alle scorse edizioni è anche quella dell’enoteca Enolibrì, con vini, sapori da gustare, libri, una sezione tutta dedicata ai fumetti e lo spazio OGMfree, a cura dell’associazione Organismi Genuinamente Modificati, per promuovere il consumo di prodotti biologici e locali e il commercio equo e solidale, con la vendita di prodotti come l’Olio d’Argan prodotto dalle donne del Sud Marocco e il Caffè Rebelde delle comunità zapatiste. Sempre presso l’Enoteca si trovano i manufatti di legno grezzo recuperato e riutilizzato del Refugees Wood Project, realizzati dai 60 rifugiati nordafricani accolti presso la Casa dei Diritti Don Gallo a Padova.

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DAI MONDIALI AI FUMETTI. Sono quattro i fili conduttori che dirigono le attività collaterali del festival: i Mondiali di calcio (tutte le partite sono proiettate su schermo gigante), con successivo dibattito; una discussione intorno all’antiproibizionismo; dibattiti sugli abusi delle forze dell’ordine (3 luglio) e uno speciale sui fumetti (10 luglio), che vede come ospite d’onore ZeroCalcare, in occasione de “Il fumetto siamo noi – da underground a autoproduzione”, storia del fumetto sotterraneo italiano dal 1990 ad oggi. Come da tradizione, inoltre, ritornano corsi e workshop, quest’anno dedicati alla formazione dei pizzaioli, coltivazione biologica su terra in indoor, fotografia slow e hip hop.

I CONCERTI A UN EURO. Chi dice Sherwood, però, dice soprattutto musica e grandi appuntamenti live, a prezzi stracciati. Come dice lo slogan del festival, infatti, “un euro può bastare” per quasi tutte le performance. Tra gli ospiti italiani, nella seconda metà del festival, da non perdere la canzone d’autore romantica di Brunori Sas, sul palco principale dello Sherwood il 2 luglio, i Perturbazione, in scena il 5 luglio, e gli Afterhours, l’11 luglio (biglietto 15 euro più prevendita). Tra i protagonisti internazionali del festival ci sono, invece, i New York Ska Jazz Ensemble, di scena il 6 luglio, gli Slowdive (biglietto 26 euro), star della musica shoegaze, band britannica di culto negli anni ’90, in Italia in occasione del Radar Festival, in concerto il 16 luglio, mentre al concertone di Alborosie (biglietto 21 euro) è affidata la penultima serata del festival, il 18 luglio. La chiusura di quest’edizione, invece, è completamente targata Sherwood, con lo spettacolo “Electroswing Circus”, atmosfere vintage, echi anni Trenta, musica e travestimenti.

COS’E’ SHERWOOD. Realtà nata nel 1976 come “la migliore alternativa” all’appiattimento culturale e politico contemporaneo, Sherwood è cresciuto negli anni, ramificandosi, coinvolgendo sempre più progetti, volti, storie ed energie. Espressione della necessità di avere uno spazio di confronto libero, la storica Radio Sherwood ha abbandonato le onde FM per trasferirsi sul web. È attivo dal 2011 il portale multimediale Sherwood.it, vigilante e attivo 12 mesi all’anno sul fronte della produzione culturale indipendente, con video in streaming, web-radio e approfondimenti on-line. Dal desiderio di essere presenti e attivi sul campo, nascono anche i progetti collaterali Global Project, piattaforma multimediale di informazione, Melting Pot Europa, progetto dedicato al tema della cittadinanza e dell’immigrazione, principale veicolo e canale di diffusione delle iniziative sul campo a favore di rifugiati politici, clandestini e immigrati, e Wires-to, nato nell’intenzione di promuovere la “filiera corta” musicale, le label e gli artisti indipendenti locali.

MANGIARE. Una cena ma non solo. Una serata al Chiosco, club estivo al civico 10 di via Ludovico Ariosto, è musica, passeggiate nella sabbia, opere d’arte, tavolate di amici, lucine colorate, tutto sotto le stelle e ai piedi di una vecchia cascina di campagna. Inaugurato nel 2008, il Chiosco, versione estiva del Fish Market, propone una cucina leggera che profuma d’estate, a cura dello chef, Marzia Gallinaro, che firma insalate ricchissime, secondi di mare e grigliate miste. Una nota a parte merita la pizza, servita fino a notte fonda, preparata con farine selezionate, lasciata riposare per 72 ore e offerta anche nella versione integrale. Un menù comprensivo di pizza, bevanda, concerto e caffè costa 15 euro a persona. (Il chiosco è un club Arci, e come tale prevede anche una quota associativa annuale, pari a 10 euro). Per chi, invece, ha voglia di regalare al palato una cena memorabile a base di carne, l’indirizzo è uno solo: Al Vecchio Falconiere, in pieno centro storico di Padova, al civico 31 di via Umberto I. La cortesia del proprietario, i prezzi moderati (contare 35, 40 euro a persona per la cena, vino escluso), la vasta scelta di carni, dalla tartare al vitello canadese ai tagli di chianina fanno del Falconiere un indirizzo da custodire gelosamente. Un’esperienza da provare è sicuramente la chianina toscana, cotta direttamente sul tavolo su un piatto di pietra lavica incandescente. Nascosta nel ghetto ebraico, adorata dai padovani, l’Osteria Anfora è il posto giusto per deliziarsi con le ricette della tradizione culinaria veneta. Nel menu, bigoli all’anitra, baccalà alla vicentina, fegato alla veneziana, polenta al cucchiaio con la piovra e, presidio Slow Food, la gallina padovana, preparata secondo tradizione (alla “canevera”). L’osteria Anfora è al civico 13 di via dei Soncin, la prenotazione è consigliata (prezzi tra i 25 e i 35 euro a persona).

DORMIRE. Annoverato tra i migliori di Padova, l’hotel NH Mantegna (al civico 61 di via Tommaseo) è in pieno centro storico e offre una posizione strategica e la garanzia di qualità della rinomata catena spagnola, a prezzi moderati (da 70 euro a notte a persona). A pochi metri dalla Basilica, accogliente e pratico, il b&b Al Santo, gestito dalla famiglia Pittarello, offre ai suoi ospiti il confort di una villetta con giardino in pieno centro, la comodità di tre camere doppie, ognuna dotata di bagno in camera, prezzi modici (da 35 euro la doppia) e accoglienza familiare. Per chi cerca, invece, una sistemazione più economica in città, il principale ostello padovano, ostello Città di Padova, in via Aleardi, propone posti letto a partire da 17 euro (prima colazione inclusa) e una posizione invidiabile a un passo da Prato della Valle e dal centro storico.

ARRIVARE. Servita da ben tre aeroporti, quello di Bologna e i due di Venezia (Treviso e Marco Polo), Padova è facilmente raggiungibile dalle principali città italiane, con partenze da Roma Fiumicino e Napoli con easyjet (sui 60 euro, andata e ritorno), e da Brindisi e Trapani (sui 90 euro andata e ritorno) con Ryanair. Inoltre, Padova è ben collegata attraverso le Frecce di Trenitalia con corse, tra le altre, dirette da Roma, in sole tre ore (da 49 euro), da Milano, in due ore (treni a partire da 19 euro), da Firenze, in un’ora e mezza (con prezzi a partire da 29 euro).

 

Qui l’articolo pubblicato su OggiViaggi.

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Fortezza Padova

“Da domenica scorsa, come forse sapete già, Padova ha un nuovo sindaco, si chiama Massimo Bitonci ed è della Lega Nord”. A parlare, in una calda mattinata d’inizio giugno a Padova, è Luca Bertolino, responsabile dell’associazione Razzismo Stop. Di fronte a lui sono almeno in 60, facce assonnate, occhiali da sole, canottiere di fortuna e accenti tutti diversi l’uno dall’altro. Sono gli inquilini della casa dei Diritti “Don Gallo”, palazzina pignorata, recuperata lo scorso dicembre dai volontari dell’associazione per dare un tetto e un punto di partenza ai rifugiati nord-africani. “La maggior parte di loro è arrivata qui nel 2011, dopo gli orrori della Libia”, spiega Luca, “per circa un anno e mezzo hanno vagabondato nei vari centri d’accoglienza, nel circuito emergenza Nord Africa, ma non è servito a nulla e alla fine del periodo di emergenza sono finiti per strada, di nuovo”. Per qualche mese hanno trovato un rifugio presso la sede dell’associazione, in via Gradenigo, ma lo spazio presto non è stato più sufficiente. I volontari di Razzismo Stop hanno dunque deciso di accoglierli in questa struttura in zona Fiera, abbandonata da anni, e dare loro un sostegno che vada oltre il minimo garantito, seppure neanche questo sia ormai scontato. La palazzina, ex sede della Meeting Service Spa, è stata messa all’asta dopo il pignoramento con una base d’asta di 1 milione e mezzo di euro. L’associazione ha partecipato a suo modo, una lettera con dentro un biglietto. Sopra una sola parola, l’unica offerta che i loro volontari sono in grado di fare: l’accoglienza. “Un gesto simbolico per spiegare che non tutto può essere messo in vendita e acquistato e che il nostro lavoro ha un’utilità sociale rilevante”.

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“Abbiamo istituito un corso d’italiano”, continua Luca, “e cerchiamo di farli lavorare quando è possibile”. Nel cortile accanto alla palazzina, c’è chi lavora il legno, “abbiamo riciclato delle tavole e loro ne fanno mobili, divani e sedie sdraio che poi rivendiamo a commerci o privati” e alcuni di loro saranno inseriti nell’organico dello Sherwood, il festival che anima l’estate padovana. “Nessuno vi ha mai regalato niente”, continua Luca davanti alla sua platea, “il vecchio sindaco non vi ha dato un lavoro, né una casa, ma il nuovo sarebbe felice di vedervi tutti in mare”. Silenzio. “Però noi non abbiamo paura, dobbiamo restare uniti, rimboccarci le maniche, essere forti”. Tutti annuiscono ma è un consenso carico di tensione, che si sfalda facilmente. Soprattutto quando si parla della bolletta della luce, altro punto all’ordine del giorno. Il consumo degli ultimi due mesi degli inquilini della casa don Gallo è di 1400 euro. La struttura occupata dai rifugiati è considerata come una seconda residenza, come una casa al mare. Le utenze sono intestate a Luca e la luce, quindi, costa il doppio e, se dovesse passare troppo tempo, una volta revocata, in virtù del nuovo piano casa Renzi, non sarà più possibile riallacciarla. Anche solo decidere chi sarà l’incaricato della raccolta dei soldi è non poco delicato. Si cerca di nominarne almeno tre, uno per regione nord-africana. “Sono sempre i ghanesi a pagare”, si grida da un lato del cortile e si fatica a placare gli animi. Ma questa è solo una delle tante possibili scintille che ogni giorno minano la tranquillità di casa Don Gallo. La convivenza di 60 persone, di origini e religioni diverse, non è facile. E, non sorprende, si conoscono tutti, ma nessuno ha amici. Abdullah, 24 anni, originario del Ciad, è in Italia da qualche anno, ma è arrivato in via Tommaseo da pochi mesi. Parla italiano e ogni tanto lavora come cameriere: “i miei amici sono partiti, uno è tornato in Africa, l’altro in Germania”, racconta, “io per ora resto qui ma la vita con tante persone così diverse è difficilissima”. Ha una nuvola di capelli ricci intorno al volto ed è l’unico elegante, in camicia, “se potessi andrei via anche io”. Lo ritrovo dopo poco nella sua stanza, intento a stirarsi un paio di pantaloni sul pavimento. È in Italia da più di vent’anni, invece, Alassane, senegalese, 53 anni, il falegname della casa. Per non sbagliare, mi scrive il nome su un’asse di legno. “Qui cerchiamo di essere tranquilli”, mi spiega, lui è il responsabile della sua stanza. “Ma basta un furtarello, una lite, si alzano i toni e ci si inizia a guardare con diffidenza”, continua, “i senegalesi, però, pagano sempre le bollette”.

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I rifugiati della casa dei Diritti “Don Gallo” provengono dal Senegal, dal Togo, dalla Nigeria, dal Ghana, dal Mali, dall’Eritrea, dalla Libia, e da altri paesi dell’Africa sub-sahariana. Sono richiedenti asilo eppure, secondo lo studio sullo stato del sistema di asilo in Italia realizzato da ASGI, solo il 32,4% di loro trova un posto dove stare. E, tra chi è finito a Padova, non sono in pochi quelli che volevano cercare fortuna altrove, oltre i confini italiani ma sono rimasti intrappolati nell’incomprensibile burocrazia europea. Secondo i dati anagrafici dello scorso mese di aprile, consultabili sul sito del Comune di Padova, i cittadini stranieri rappresentano il 15% della popolazione della città. A Padova ci sono 32.099 stranieri su un totale di 210.093 cittadini, oltre il 30% dei bambini con meno di 5 anni è straniero e le tre principali comunità sono originarie della Romania, della Repubblica Moldova e della Nigeria. “Ridurli tutti, nell’opinione comune, a poche centinaia di spacciatori tunisini è ridicolo”, commenta Nicola Grigion, giornalista e tra i responsabili del progetto Melting Pot Europa. Ma Padova, città a vocazione universitaria, accogliente di natura, sembra avvertire un’insolita emergenza sicurezza. Parola che è sulla bocca di tutti, soprattutto dopo le ultime comunali.

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Il programma di Bitonci è tutto un risuonare di crescita, sviluppo e patrimonio. Ma, chissà perché, a mezzanotte passata in piazza delle Erbe, è un unico imperativo a risuonare all’ombra del palazzo della Ragione: “Ripulire la città”. È quel verbo forse a disturbare di più. “Ripulire”, che dà l’idea di una gomma da cancellare passata sopra a tutto quello che infastidisce la gaia “patavinitas” della città. Nei giorni precedenti il ballottaggio, il neo-sindaco è stato tra i politici più popolari sui social network, grazie a un uso frenetico di twitter e facebook dove, tra incoraggiamenti e narcisismo, è impossibile non riscontrare una certa ricorrenza nei contenuti: la promessa di appendere un crocifisso in tutte le aule della città, episodi di cronaca nera imputati casualmente a extracomunitari, l’arrivo di nuovi clandestini sul suolo italiano, il video “scioccante” di una lite tra immigrati vicino la stazione. Un ritornello incessante che, si teme, diventerà parte della vita quotidiana qui a Padova. Tuttavia, le considerazioni a margine di questi risultati sono di altra natura. Passeggiando per le vie del centro, in questo inaspettato anticipo d’estate, ci si dispiace quasi che la terza città veneta possa mutarsi in una fortezza sorvegliata a vista. Il timore è che con il nobile e indovinato pretesto di preservare i piccoli commerci e l’economia cittadina si eliminino le zone a traffico limitato nel centro storico, argomento cardine di Bitonci, per permettere ai consumatori, la vera razza da preservare nell’era moderna, di arrivare in macchina fino alla soglia dei negozi. O ancora che quella “tutela del decoro e del buoncostume”, ripetuto nel suo programma, si traduca in un manipolo di ronde notturne di giovincelli annoiati. O che la “tutela assoluta della vita fin dal suo concepimento” favorisca un’attitudine medievale in tema di sanità e maternità a cui il Veneto, purtroppo, causa Zaia, era già abituato.

Bitonci, in materia di sicurezza, è preparatissimo, reduce dalle prove generali a Cittadella, comune della provincia di Padova, dove, nel 2007, in qualità di sindaco, ha introdotto quella che viene ancora ricordata come “l’ordinanza anti-sbandati”, una serie di procedimenti preliminari all’assegnazione della residenza anagrafica a un immigrato, come una soglia di reddito minimo, la verifica dell’idoneità dell’alloggio del richiedente e della sua pericolosità sociale. Un’ordinanza simbolo dell’ancora più rigido pacchetto sicurezza le cui norme prevedevano un vigile ogni mille abitanti, ronde notturne garantite da volontari e divieto di bere alcoolici in aree pubbliche. Al quale va aggiunto, per onor di cronaca, la sua strenua lotta al kebab, simbolo della decadenza della tradizione culinaria veneta. Tutto per un piccolo comune di poco meno di 20.000 abitanti. Un successone per Bitonci, lodato dai suoi colleghi più illustri, da Gobbo a Treviso a Tosi da Verona. Tuttavia, l’aver inserito una soglia di reddito (fissata intorno ai 420 euro) in uno dei pochi paesi d’Europa dove non è neanche previsto un salario minimo, ma soprattutto l’essere entrato in un campo di competenza del governo e non di un sindaco, suscitò il disappunto nazionale e Bitonci fu indagato per abuso di funzione pubblica. All’indomani della sua elezione a Padova, c’è tuttavia chi invoca una ricetta Cittadella anche per il capoluogo veneto.

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“Questa non è una vittoria di Bitonci”, spiega Luca, “ma è la sconfitta della sinistra, Ivo Rossi che non ha saputo vincere”. La stessa persona che ha votato Bitonci, secondo il responsabile dell’associazione, potrebbe appassionarsi alla storia personale di un immigrato incontrato per strada, ma quando ci si trova in un’urna entrano in gioco altri fattori. Lui e Nicola Grigion sono convinti che, purtroppo, abbia prevalso la logica dell’originale preferito alla brutta copia: “dopo vent’anni di sinistra, la città vuole cambiare e Bitonci è stato l’unico a proporsi come cambiamento”. Padova non è più rossa, quindi, e forse non lo era già da un po’. Da quando, precisamente, a meritarsi l’epiteto di “sceriffo”, è stato un sindaco di sinistra: Flavio Zanonato. L’episodio del muro di via Anelli, una recinzione lunga 84 metri e alta 3, soluzione escogitata dalla giunta di sinistra per isolare una zona di spaccio popolata prevalentemente da immigrati extracomunitari, è ancora vivo nella memoria di Padova. “L’amministrazione Zanonato ha voluto dare il bastone e la carota, il muro di via Anelli e blande politiche d’integrazione, come per dire, vi accontentiamo e isoliamo gli immigrati in un ghetto ma siamo pur sempre di sinistra”, spiega Nicola, “alla fine, l’integrazione non è avvenuta, la città è ancora in difficoltà e i padovani hanno deciso di votare a destra”. Sul risultato delle elezioni pesa inoltre la figura di Ivo Rossi, soprannominato dai seguaci di Bitonci “Ivo il Tardivo”, non eletto regolarmente attraverso il voto, ma succeduto a Zanonato, che ha abbandonato Padova per la carica di Ministro dello Sviluppo Economico nel governo Letta e in seguito per la corsa al Parlamento Europeo. A lui gli elettori di sinistra, delusi, tra i quali non pochi hanno votato Bitonci, imputano la colpa di non aver saputo portare la campagna elettorale su altri temi che non fossero la sicurezza. Incapacità sulla quale ha inferto l’ultimo colpo, forse involontariamente, anche Il Mattino, quotidiano padovano locale, principale organo di propaganda del candidato renziano, “tra i principali responsabili della vittoria di Bitonci” secondo Luca, poiché da un lato ha screditato con ogni mezzo il neo-sindaco leghista ma dall’altro ha alimentato l’isteria collettiva per la sicurezza cittadina. Infine, il recente scandalo del Mose, nel quale era coinvolto anche Galan, amico di Rossi, ha instillato il dubbio in non pochi elettori padovani, ma soprattutto diffuso il pericolosissimo adagio secondo il quale “ormai sono tutti uguali” e tra un tardivo e un leghista non valga nemmeno più la pena di scomodarsi e recarsi al seggio.

Ora resta un senso di imbarazzo generale, una vittoria temuta ma inaspettata, le due bottiglie di prosecco chiuse e dimenticate nella sede del Pd a due passi dalla Galleria Borromeo, in piazza Insurrezione, l’ironia sui social network, dove venerdì 13 giugno tutta la cittadinanza è stata invitata a mangiare un ultimo kebab. Ma, soprattutto, si fa sentire la necessità, finalmente, di creare una vera e solida opposizione a sinistra. “In realtà non è detto che le cose possano andare peggio”, continua Luca, “con una giunta della Lega, chissà che proprio un fronte comune a cui opporsi non faccia rinascere una sinistra più compatta”. È quanto Luca ha anche cercato di spiegare ai ragazzi questa mattina, durante l’assemblea generale. Ma i commenti sono stati pochi, per lo più qualche battuta. “Tu da dove vieni?”, dice un rifugiato a un volontario dell’associazione, “di Trento? Allora Bitonci ti manda a casa! Via gli stranieri!”, scherza. “Alcuni sono arrivati da poco in Italia, per loro non cambierà nulla”, conclude Luca. Hanno attraversato il Mediterraneo, perso la speranza, imparato una o più nuove lingue, cercato di ricostruirsi una vita, una o più volte. Un “sindaco di tutti”, con le sue lotte personali contro il kebab e il capriccio di fare dello Spritz una bevanda verde Lega, sembra non intimorirli più di tanto. Almeno per ora.

 

Qui il reportage pubblicato su Q Code Magazine.